Pubblicati di recente gli studi effettuati da un gruppo di ricercatori provenienti da Catania, Potsdam e Tokyo.
I risultati del lavoro del team internazionale di ricercatori sono stati pubblicati su Geophysical Research Letters dell’American Geophysical Union. Da essi si evince che si può valutare l’energia rilasciata dalla propagazione delle fessure eruttive per poi metterla in relazione, grazie a diversi modelli eruttivi (nel caso dell’Etna a partire dall’eruzione 1981), con quella sismica rilasciata attraverso i numerosi eventi che hanno accompagnato le intrusioni di magma.
“Il magma – spiega Alessandro Bonaccorso, dirigente di ricerca Ingv – viene trasportato nella crosta tramite intrusioni, anche note come dicchi, che nella loro risalita fendono le rocce incassanti sino a raggiungere la superficie terrestre, per dare vita alle eruzioni. La propagazione dei dicchi provoca non solo deformazioni, ma anche notevole rilascio sismico, entrambi misurabili attraverso le reti geofisiche di monitoraggio permanente”.
I dicchi possono perciò risalire dal profondo verso la superficie, nelle aree vulcaniche, e infine muoversi attraverso propagazione laterale, in questo caso alimentando pericolose eruzioni sui fianchi del vulcano. Generalmente, i rischi associati a un dicco eruttivo crescono all’aumentare della sua lunghezza laterale di propagazione. Più è lunga la sua propagazione, maggiore è il rischio in quanto l’intrusione può raggiungere punti di emissione lavica più prossimi ai centri abitati e alle infrastrutture umane.
“Come nel 1669,” continua Bonaccorso, “quando Catania è stata parzialmente distrutta da una drammatica eruzione che ha visto l’intrusione eruttiva allungarsi radialmente sul fianco del vulcano per circa 16 km. Questa si è propagata partendo dall’area sommitale sino a circa quota 800 m s.l.m. in prossimità del paese di Nicolosi da cui è uscito il flusso lavico che, da questa bassa quota, ha in poco tempo distrutto numerosi villaggi periferici e poi raggiunto la città di Catania danneggiandola gravemente”.
In particolare per l’Etna, la relazione individuata è molto precisa. Questo, praticamente, permetterebbe di controllare durante un’intrusione come/se l’energia attesa si sta equilibrando con quella rilasciata dalla stessa intrusione, e quindi comprendere il suo stato di propagazione.
Sebbene in passato siano stati condotti diversi studi sui meccanismi dei dicchi e sulla loro propagazione, il rapporto tra la deformazione provocata dall’intrusione magmatica e la sismicità rilasciata, fino a oggi è stato approfondito in modo parziale. Invece, “Comprendere la meccanica dei dicchi è, un argomento chiave per prevedere sia la propagazione sia il pericolo associato. Da qui la necessità di ottenere uno strumento di controllo sull’energia rilasciata dall’intrusione al fine di valutare il suo stato di propagazione. Questo”, in conclusione, “consentirebbe di rispondere a una delle domande cruciali che si pone la comunità scientifica nelle prime fasi iniziali di un’eruzione: per quanta lunghezza si propagherà la fessura eruttiva?”.