La Festa di Sant’Agata rappresenta uno degli eventi più sentiti e partecipati della città di Catania. Ogni anno, migliaia di devoti affollano le strade per rendere omaggio alla patrona, dando vita a un evento che fonde fede, storia e tradizione. Le celebrazioni raggiungono il loro culmine il 4 e il 5 febbraio, con un tripudio di luci, preghiere e canti che avvolgono la città in un’atmosfera unica.
Il fercolo e l’emozione dei devoti
L’attesa culmina con l’apertura del sacello che custodisce il busto di Sant’Agata. Tre diverse chiavi, conservate rispettivamente dal tesoriere, dal cerimoniere e dal priore della cattedrale, sono necessarie per aprire il cancello di ferro. Quando la terza chiave toglie l’ultima mandata, il viso sereno della Santa appare tra le urla di gioia e la commozione della folla: “e chiamàmula cu ‘razzia e cu cori, pi Sant’Àjituzza beḍḍa, ca sta niscennu, Cittatini! semu tutti divoti, tutti? Cittatini, cittatini! evviva Sant’Àjita”.
Il busto, adornato di gemme preziose e foderato di velluto rosso, viene issato sul fercolo d’argento rinascimentale. Il fercolo ( in siciliano ” a vara“) è un capolavoro di arte sacra, progettato nel 1514 da Vincenzo Archifel e arricchito nel tempo da maestri argentieri. Trasporta il busto e la cassa con le reliquie della Santa e viene trainato dai fedeli con corde lunghe oltre 100 metri. Sopravvissuto a terremoti e bombardamenti, rimane uno dei simboli più sacri della festa e viene quindi solennemente portato in processione per le vie della città.
Il percorso della fede: sosta alla Marina
La processione del giorno 4 è un cammino di devozione che si snoda per tutta la città. Il fercolo attraversa i luoghi legati al martirio di Sant’Agata, fermandosi in punti carichi di significato. Un momento particolarmente toccante è la sosta alla marina, da cui i catanesi videro partire le reliquie della Santa verso Costantinopoli. Un’altra tappa fondamentale è la colonna della peste, a ricordo del miracolo del 1743, quando Sant’Agata salvò la città dall’epidemia.
Simboli di Devozione: Ceri, Candelore e Cordone
Tra i principali simboli della festa spiccano:
- I ceri votivi, che variano in grandezza e peso in base alla grazia ricevuta o richiesta. Storicamente, rappresentano un segno tangibile di devozione e vengono portati in processione dai fedeli. Da oltre 200 anni, la cereria Cosentino fornisce ai devoti una vasta gamma di candele, dalle più semplici ai ceri ritorti a mano, fino ad arrivare a esemplari personalizzati che possono superare i 120 kg. La processione si illumina con migliaia di ceri accesi in onore della Santa.
- Le Candelore: simbolo delle corporazioni artigiane. Le “Candelore” (o “Cerei” ) sono strutture lignee dorate, riccamente decorate con statue e scene della vita di Sant’Agata. Pesano tra i 400 e i 900 kg e vengono portate a spalla dai devoti, con il caratteristico movimento ondulatorio chiamato “annacata“. Rappresentano le antiche corporazioni artigiane e sono protagoniste della festa fin dai giorni precedenti, accompagnate da bande musicali.
- Il cordone: la forza della fede che traina il fercolo. Un altro elemento imprescindibile della festa è il Cordone. Il fercolo viene trainato da due lunghi cordoni di 120 e 125 metri, afferrati con forza dai fedeli, che lo guidano lungo il percorso. Il cordone è un simbolo sacro e, per toccarlo, i devoti devono indossare i guanti bianchi. Lo spazio all’interno del cordone è considerato un’area sacra, in cui i fedeli avanzano a ritroso per non perdere di vista il busto reliquiario, intonando preghiere e canti.
I vestiti dei devoti
I devoti che partecipano alla festa di Sant’Agata indossano il tradizionale “sacco“, un camice votivo di tela bianca, che scende fino alle caviglie e si stringe in vita con un cordoncino. A questo abbigliamento si aggiungono un berretto di velluto nero e guanti bianchi, mentre nelle mani sventolano un fazzoletto bianco, accuratamente stirato a fitte pieghe. Questo abito rappresenta una tradizione che risale al 1126, quando i catanesi corsero incontro alle reliquie portate da Gisliberto e Goselmo, che le avevano recuperate da Costantinopoli.
Nel corso dei secoli, il camice originariamente indossato come semplice camicia da notte ha acquisito anche un significato di penitenza. Infatti, secondo alcune interpretazioni, l’abito di tela bianca sarebbe una ripresa di una veste liturgica, mentre il berretto nero simboleggerebbe la cenere, che un tempo i penitenti si cospargevano sul capo durante i riti penitenziali. Il cordoncino in vita, infine, sarebbe un riferimento al cilicio, simbolo di mortificazione della carne.