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Etna in attività e fenomeni futuri: il direttore INGV Catania fa il punto della situazione

Foto archivio
Nuove foto di esplosioni stromboliane fanno capolino ogni giorno sui social, protagonisti i crateri sommitali: facciamo il punto della situazione con il dottor Stefano Branca, direttore dell’Osservatorio Etneo, Sezione di Catania dell’INGV.

Da qualche giorno l’attività dell’Etna mostra qualche segno di recrudescenza: nuove foto di esplosioni stromboliane fanno capolino ogni giorno sui social, protagonisti i crateri sommitali. Da poco più di una settimana, all’attività intracraterica del Cratere di Nord-Est e del Cratere Centrale, si è unito al coro anche il Cratere di Sud-Est. LiveUnict ha raggiunto il dottor Stefano Branca, direttore dell’Osservatorio Etneo, Sezione di Catania dell’INGV, per fare il punto della situazione.

Come procede l’attività eruttiva dell’Etna cominciata tre mesi fa?

“L’attività procede nella norma di questo tipo di attività vulcaniche ai crateri sommitali etnei: variabile e con fluttuazioni ma rimanendo sempre con un livello energetico medio-basso. Si tratta della più tipica attività sommitale di questo vulcano, definita tecnicamente un’attività stromboliana. Si osserva, talvolta, anche l’emissione di piccoli volumi di lava che rimangono confinati dentro i recinti craterici. Il flusso di SO2 non sta variando in questi mesi e il tremore è abbastanza stabile”.

Su internet si legge spesso che l’Etna sta “preparando qualcosa”. Siete in grado di comprendere come evolveranno i fenomeni nel futuro?

“È un’attività che può durare a lungo, ma non siamo in grado di dire quanto a lungo. Queste sono attività che, se cambiano, evolvono velocemente verso fenomeni più intensi altrimenti si stabilizzano. I dati composizionali e petrografici hanno mostrato che rispetto all’attività del 2018, quella in corso è alimentata da magma più profondo e fresco“.

Dopo la breve eruzione laterale del Dicembre (24-27) 2018 si attendevano eruzioni laterali, sommitali o non era possibile fare nessun tipo di previsione?

“Dopo quella eruzione laterale molto breve, non tutti i parametri monitorati erano rientrati, soprattutto le deformazioni, quindi nei primi mesi non si era sicuri di ciò che potesse avvenire. Ma, col passare del tempo, anche le deformazioni sono rientrate e il magma eruttato durante gli eventi eruttivi sommitali e subterminali di maggio e luglio (2 eruzioni) era più cristallizzato, le analisi petrografiche hanno evidenziato che il magma era quello del 2018 e non c’era nessuna nuova risalita. Da settembre, le analisi mostrano che c’è la risalita di un magma più primitivo. Ad oggi possiamo aspettarci piccole variazioni dell’attività in corso.

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Il dato storico dice che, dopo queste brevi eruzioni – durate da meno di 1 giorno fino a 3-4 giorni – passano solitamente da 2 a più di 10 anni prima che ci sia un’altra eruzione laterale.

Il fatto che l’eruzione laterale del 2018 non sia riuscita ad emettere tutto il magma intruso, non vuol dire che necessariamente il vulcano debba successivamente produrre un’altra eruzione laterale”.

Dall’inizio di novembre, lei è direttore dell’Osservatorio Etneo dell’INGV. Quali programmi di ricerca e di monitoraggio state attuando?

“Dal punto di vista infrastrutturale è previsto il rinnovamento di tutta la rete di monitoraggio: si tratta di un lavoro importante perché l’ultimo aggiornamento è avvenuto più di 10 anni fa. Un grosso lavoro che rinnoverà, con la tecnologia più recente esistente, tutto il pacco di videosorveglianza di Etna e Stromboli così come i sensori della rete sismica e delle altre reti. Un’operazione che durerà almeno 2 anni, forse 3.

Per quanto riguarda la ricerca, ci sono tanti progetti nuovi in corso, di varia tipologia: molti sono indirizzati alla definizione di parametri di early warning di natura geofisica per Etna e Stromboli, i dati verranno condivisi con la Protezione Civile. L’impostazione dei progetti è fortemente multidisciplinare, sono previsti anche studi sul vulcanismo secondario. Personalmente, sto cercando di dare un indirizzo interdisciplinare alle ricerche, collaborando con settori diversi da quelli classici legati alla sorveglianza e al monitoraggio o agli aspetti geofisici. Un posto rilevante ha la storia della vulcanologia, un campo poco sviluppato in Italia e che, invece, ha un enorme potenziale di sviluppo e d’interazione con gli altri settori culturali: serve per conoscere meglio quanto fatto in passato e, probabilmente, per indirizzare meglio le scelte nella ricerca contemporanea e futura. Ciò porta a nuove collaborazioni di ricerca con le Scienze Umanistiche e l’Archeologia, spingendo ad uscire dai propri ristretti confini, aumentando altresì le occasioni per fare divulgazione”.

A cura di Daniele Musumeci