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Aci e Galatea: il mito che diede il nome ai comuni etnei

La leggenda narra che il fiume creato dal sangue di Aci diede il nome alle nove cittadine alle pendici dell’Etna, tra cui, le più famose, Acireale, Acitrezza e Acicastello.

Quante volte durante le giornate estive ci si sarà ritrovati a fare un tuffo nelle acque di Acitrezza, o a fare una passeggiata sotto il cielo serale di Acicastello o, ancora, a gustare una fresca granita ad Acireale? Alle pendici dell’Etna, infatti, a poca distanza da Catania è possibile visitare queste suggestive cittadine affacciate sul mare, affollate dai visitatori specialmente durante la stagione estiva.

Una piccola curiosità che riguarda questi comuni in provincia di Catania è lo strano prefisso che compone il nome di tutte queste località, nove per l’esattezza. Sebbene, infatti, siano generalmente più conosciute le cittadine di Acireale, Acicastello e Acitrezza, questo prefisso contraddistingue anche Aci Bonaccorsi, Aci Sant’Antonio, Aci San Filippo, Aci Catena, Aci Santa Lucia e Aci Platani. Ma da dove deriva questa comune caratteristica?

Il prefisso avrebbe origine da un ricco corso d’acqua che, in passato, bagnava e rendeva fertili queste terre e sfociava in mare proprio in quella zona. Sebbene oramai il corso del fiume non sia più localizzabile, per via delle ripetute eruzioni vulcaniche che ne hanno occultato il letto, Akis, questo il suo nome, scorre ancora nelle falde acquifere dei comuni di quell’area, emergendo nei pressi della località di Capo Molini e creando una sorgiva detta “u sangu di Jaci” (il sangue di Jaci) per via del suo particolare colore rossastro.

Ecco quindi che il prefisso “Aci” deriverebbe appunto dal fiume omonimo, nulla di speciale, dunque, se non fosse che tra le sue acque fluisce la storia di due giovani e del loro amore sfortunato, uno di quelli a cui gli antichi e fantasiosi Greci ci hanno da sempre abituato. È la storia del bel pastore Jaci, che abitava nelle terre acesi e pascolava le sue greggi in riva al mare, e della leggiadra ninfa Galatea, e del loro amore contrastato dal crudele Polifemo.

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Descritti dalla “Metamorfosi” di Ovidio, questi due personaggi sono l’emblema dell’amore contrastato e della gelosia corrosiva che conduce spesso a un tragico epilogo. Jaci, figlio di Fauno, era solito pascolare le sue greggi nei pressi della spiaggia e fu proprio qui che un giorno vide una bellissima fanciulla sul pelo dell’acqua e se ne innamorò. Il nome di quella fanciulla era Galatea, una delle Nereidi, le cinquanta ninfe del mare figlie delle divinità marine Doride e Nereo.

La passione di Jaci fu intensamente ricambiata dalla ninfa, la quale s’innamorò a sua volta del bel pastorello, sebbene la ruota della fortuna non fosse destinata a girare dalla loro parte, poiché un tragico destino li attendeva già. Galatea, infatti, era da tempo corteggiata da Polifemo, il pericoloso gigante che abitava sul monte Etna, ma che non era affatto contraccambiato dalla bella fanciulla. La corte insistente del ciclope non sortiva alcun effetto su Galatea e i suoi sforzi erano a dir poco inutili, tanto più che la giovane aveva ormai intrecciato un tenero legame amoroso con Jaci.

Una sera in cui la luna illuminava la costa, sfortunatamente i due innamorati furono avvistati da Polifemo mentre erano intenti a baciarsi. Il ciclope decise, quindi, di vendicarsi e, non appena la ninfa si fu rituffata in mare, afferrò un grosso masso dall’Etna e lo scagliò su Jaci, schiacciandolo. Quando Galatea apprese la notizia, corse subito sul luogo per piangere sulle spoglie del bell’amato ormai privo di vita, provocando un sentimento di pietà in Giove. Il padre degli dèi, commosso, mutò il sangue del povero pastore in un fiume che nasceva sul Vulcano per sfociare nel tratto di mare che era stato testimone di quello sventurato amore. Galatea ebbe la possibilità così di immergersi in quelle acque e di ricongiungersi per sempre al suo amore.

Le credenze popolari aggiunsero nel tempo una piccola e originale variante del mito, secondo la quale il corpo di Jaci sarebbe poi stato smembrato in nove parti, divenuti appunto i comuni dal prefisso Aci. E proprio queste cittadine tra terra e mare preservano ancora oggi la magia di quell’amore, tant’è che proprio ad Acireale è possibile ammirare una splendida fontana in marmo raffigurante il mito di Aci. Con una bellezza semplice e un fascino quasi mistico, quindi, questi luoghi incantano e meravigliano chiunque vi si trovi in visita.

A proposito dell'autore

Debora Guglielmino

Classe '94, la passione per l'informazione e il giornalismo mi accompagna sin da quando ero ancora una ragazzina. Studentessa di Scienze della Comunicazione, amo la lettura e le atmosfere patinate ed eleganti tratteggiate nei romanzi della Austen. Appassionata e ambiziosa, sogno di poter un giorno conoscere il mondo e di raccontarlo attraverso una penna e un taccuino.