Lo scioccante episodio del quattordicenne romano che decide di suicidarsi buttandosi dal balcone solo perché era gay apre un ampio dibattito su vari aspetti su cui interrogarsi. Davide Tancredi, in una lettera scritta e pubblicata su Repubblica, racconta la terribile crepa, il triste disagio con cui si confronta quotidianamente per il semplice fatto di essere gay:
“Io sono gay, ho 17 anni e questa lettera è la mia ultima alternativa al suicidio in una società troglodita, in un mondo che non mi accetta sebbene io sia nato così. Il vero coraggio non è suicidarsi alla soglia degli ottanta anni ma sopravvivere all’adolescenza con un peso del genere, con la consapevolezza di non aver fatto nulla di sbagliato se non seguire i propri sentimenti, senza vizi o depravazioni. Non a tutti è data la fortuna di nascere eterosessuali. Se ci fosse un po’ meno discriminazione e un po’ più di commiserazione o carità cristiana, tutti coloro che odiano smetterebbero di farlo perché loro, per qualche sconosciuta e ingiusta volontà divina, sono stati fortunati”.
Come poter effettivamente proteggerci (tutti!) dai continui atti di bullismo a cui siamo spietatamente sottoposti. Tra l’altro, al classico bullismo, con l’avanzare del progresso tecnologico, si aggiungono nuove forme come il cyberbullismo. Il cyberbullismo viene definito come “l’uso delle tecnologie di comunicazione elettronica e il coinvolgimento in atti di crudeltà e comportamenti ripetuti e/o largamente diffusi che procurano danni emotivi nei confronti di altri”. Spesso la vittima non è al corrente di chi sia l’artefice di questa continua e perseguitante agonia. Esistono diverse categorie di cyberbullismo:
- infiammare (dispute online usando un linguaggio volgare ed aggressivo)
- molestare (messaggi di insulti, come il bullismo indiretto)
- denigrare (inviare commenti e pettegolezzi crudeli riguardo a qualcuno al solo scopo di danneggiare la sua reputazione)
- escludere (volontariamente da gruppi e comunità online)
- sostituzione di identità (fingere di essere qualcun altro per metterlo in difficoltà, in pericolo o danneggiarne la reputazione)
- rivelazioni (pubblicare informazioni private o segreti di altri)
- ingannare (ottenere la fiducia di qualcuno online per poi avere informazioni da pubblicare)
- cyberstalking (cyber-persecuzioni), (spiare, controllare e minacciare qualcuno in maniera ossessiva e ripetuta).
- cyber minacce (possono essere sia minacce dirette che “materiale angosciante” – dichiarazioni che lasciano intendere come l’autore sia triste e sconsolato e possa fare del male agli altri o a sé stesso, fino a commettere il suicidio)
- Sexting (è la combinazione delle parole inglesi “sesso” e “testo”: il termine si applica a quelle situazioni in cui si inviano immagini o testi a sfondo sessuale autoprodotti. Ci si focalizza in particolar modo sulle immagini di nudo perché hanno una più alta probabilità di essere largamente diffuse e perché la distribuzioni di tali foto in rete pone i giovani ad alto rischio).
Come possiamo notare, ogni giorno il clima di violenza impernia la nostra quotidianità senza che, spesso, ci si renda conto della gravità e del costante incremento. Molti focalizzano l’attenzione sui responsabili di tale azione: di chi è la colpa se un ragazzino di 14 anni si suicida perché stanco di convivere con un insopportabile, logorante tormento interiore legato alle prese in giro di coetanei, agli atti di bullismo di adolescenti insensibili e violenti, aggressivi e cattivi, pieni di pregiudizi e di tabù? La colpa è forse della comitiva che etichetta un gay “frocio di merda”, dei genitori che “sembrano non essersi accorti del disagio esistenziale del figlio”, della società che non ha ancora una legge che tuteli e che garantisca pari diritti ai gay o è forse un cambio di traiettoria. E’ necessario ri-educare a una nuova mentalità, a una nuova prospettiva che elimini ogni forma di esclusione sociale da parte dei gay. Bellissimo il messaggio che la scrittice- blogger Cristiana Alicata lancia ai suoi lettori:
“Proviamo ad immaginare un Paese dove fin dalle scuole elementari si parli di diversità. Dove si smontano le paure e si disintegra quella cultura del dominio sulla debolezza che vale per i gay, come per le donne, per i migranti, per i Rom, valeva per i terroni in terra lombarda negli anni ottanta, come per chiunque non sia l’effige del vigliacco bicipitismo italico o di una qualche razza autoctona che rilevi una diversità anche flebile tra le proprie fila. Siamo costituiti di gerarchie, di familismo malato ed asfittico, di imposizioni generazionali e di genere. Per guarire dall’omofobia l’intero Paese dovrebbe andare a scuola, ritrovare il senso vero della forza che non passa per i muscoli, non passa per l’età, non passa per la differenza di genere.
Occorre ripartire proprio da qui, da un programma educativo mirato che sappia inculcare nuove ottiche, lanciare nuovi messaggi di inclusione e di uguaglianza. Gli atti di bullismo non hanno come vittime solo i gay o le lesbiche: donne, immigrati, anziani, disabili, malati mentali, bambini: sono tutte categorie deboli, fragili quindi seriamente a rischio. Tutti abbiamo pari diritti, tutti abbiamo diritto di vivere serenamente e pacificamente in questo mondo, tutti abbiamo diritto a essere felici, a non essere messi in disparte, tutti abbiamo il diritto a essere riconosciuti e apprezzati per quelli che siamo, nessuno merita di essere ghettizzato in ridondanti pregiudizi primitivi e oltremodo bigotti. Come termina Tancredi nella sua lettera:
“Un Paese che si dice civile non può abbandonare dei pezzi di sé. Non può permettersi di vivere senza una legge contro l’omofobia, un male che spinge molti ragazzi a togliersi la vita per ritrovare quella libertà che hanno perduto nel momento in cui hanno respirato per la prima volta. Non c’è nessun orrore ad essere quello che si è, il vero difetto è vivere fingendosi diversi. Noi non siamo demoni, né siamo stati toccati dal Demonio mentre eravamo in fasce, siamo solo sfortunati partecipi di un destino volubile. Ma orgogliosi di esserlo. Chiediamo solo di esistere”.