Otto del mattino circa. Già da un pezzo, Giorgio Pantano, sulla cinquantina, si è appollaiato sul cornicione del palazzo dove è sito il negozio Benetton, in via Etnea verso il Duomo. Accorsi carabinieri, militari e vigili del fuoco, dopo un paio d’ore in cui i passanti si sono ammassati incuriositi a testa in su, sono state poste le transenne e il tratto bloccato. In alto, un uomo all’apparenza comune, come ce n’è tanti, blue jeans e maglietta, sbraita alle forze dell’ordine in basso e ai passanti a destra e a sinistra, parole rese incomprensibili dalla distanza, urla farneticanti di richieste ignorate. Chiede, pare, di parlare con le autorità. Chiede esplicitamente dell’arcivescovo, del prefetto, del procuratore, insomma, di chiunque stia lì, in alto, ai vertici del potere locale. Chiede di essere ascoltato. «Registrate tutto, questa è una testimonianza», dice forte. Dice anche di avere problemi di cuore e di volere le sue medicine, le sue “medicine salvavita”. Eppure, quando un amico urlando lo chiama per nome e mostrandogli un sacchetto della farmacia, forse contenente cardioaspirine, gli dice «Vieni Giorgio! Ti do le medicine!», lui rifiuta, ripetendo come una litania «non le voglio. Da questo momento in poi non parlo più se non fanno venire le autorità.». Cammina sui lati sporgenti e senza ringhiera del cornicione, che ha scavalcato, sale e scende scalette di sicurezza, in preda a deliri di evidente frustrazione. Prima da la schiena all’asfalto, poi si gira e per un attimo sembra quasi sul punto di fare il grande salto. Ma di paura tra la gente accorsa, qui, ce n’è poca e niente. Divertita crudeltà, più che altro. I passanti lo deridono: «Tutta scena», sghignazzano, «E buttati una buona volta!». Sembra un po’ di essere all’interno dell’arena romana, col pubblico pagante che incoraggia leoni e gladiatori. Un signore che pare conoscere l’aspirante suicida dichiara: «E’ pazzo quello lì. E’ un male della società e magari si buttasse! Farebbe un bene a tutti! Ma non si butta! L’ha già fatto un sacco di volte, l’ultima alla Cattedrale. E’ un vagabondo, un disoccupato che staziona sempre al McDonald adocchiando ragazzine.».
Noi non vogliamo giungere a conclusioni affrettate. Non ci compete. Quel che è certo, però, è che in un periodo storico ed economico, ormai siamo stanchi di sentirlo, eufemisticamente “a terra”, il numero dei suicidi, tentati o riusciti che siano, sale di giorno in giorno. E questo non è normale. E non è nemmeno sano. I “nullafacenti” esistono dall’alba dei tempi, ma prima erano un caso isolato e venivano difatti posti ai margini di una società laboriosa che adocchiava malamente e, chissà, forse con un pizzico d’invidia il loro vivere nel dolce far niente. Adesso è la comunità stessa ad essere “nullafacente” in una percentuale decisamente maggiore di quella resa pubblica. E, poco ma sicuro, non è tale per scelta. Una comunità ai margini della comunità. Un ossimoro contro natura e contro civiltà. E la nullafacenza, tradotta oggi col termine moderno e logoro di DISOCCUPAZIONE, non porta mica il pane in tavola. Manco a dirlo. E senza pane, si crepa di fame. E una comunità che crepa di fame, contrariamente a quanto ci fanno credere dando uno sguardo ai paesi del Terzo Mondo, non è cosa normale e nemmeno sana. Ovvietà. Riflessioni scontate. Ma se si tratta di concetti tanto ovvi, perché prenderne atto e procedere nel cambiare ciò che è così palesemente sbagliato appare di giorno in giorno più utopico? Neanche un padre di famiglia che dopo anni ed anni di onorato servizio viene mandato fuori a pedate, con moglie e figli da sfamare e mutuo sul groppone, e si vede costretto a vagliare l’alternativa di farla finita, perché sembra in fin dei conti l’unica soluzione possibile, è cosa normale o sana. E dunque, se ne deduce che nemmeno un povero cristo deriso e scansato dalla società che lo circonda, persino se minaccia di togliersi la vita, non sia una cosa normale o sana. No. Non lo è. Fino a non troppo tempo fa le persone provavano orrore, paura e pietà a tale vista, e soltanto alcuni guardoni dall’animo torbido provavano morboso diletto. Adesso, pare che la maggioranza si sia ribaltata. Il vento è cambiato, e non ha un buon odore.
Che l’”insensibilizzazione” sia la nuova conquista del progresso, dell’evoluzione? Che sia davvero questo: un individuo che non soffre più di niente perché troppo abituato a patire, che sta da una parte del muro, quella sghignazzante, o dall’altra, quella disperata in lacrime, senza vie di mezzo, l’uomo della nuova era globale?