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“Il giorno dei morti”: la tradizione siciliana raccontata da Camilleri

il giorno dei morti raccontato da Camilleri
"Il giorno dei morti" รจ una vera tradizione per i siciliani, e Andrea Camilleri ha raccontato al pubblico di come viveva questa giornata quando era bambino.

“Il giorno dei morti” รจ una immancabile tradizione per ogni siciliano, anche se negli ultimi tempi sembra essersi affievolita tanto che le nuove generazioni la vivono in maniera totalmente differente dal passato. Complice anche la diffusione della festa di Halloween tra i giovani, la tradizionale “festa dei morti” siciliana sembra quindi rimanere in disparte ma mantenersi attiva anche solo tramite i dolci tipici di questo periodo.

Tuttavia, รจ sempre un peccato perdere le tradizioni nel tempo, e in questo senso, il ruolo dei romanzieri diventa fondamentale per trasmettere le usanze di generazione in generazione, proteggendo il patrimonio culturale immateriale. E quale miglior trasmettitore delle tradizioni siciliane di Andrea Camilleri, noto scrittore isolano e padre del celebre Commissario Montalbano?

Non a caso, Camilleri ha voluto ricordare com’era vivere la festa dei morti quando lui era solo un bambino, permettendo a molti siciliani nostalgici di emozionarsi tramite le sue parole. Ecco dunque il racconto del giorno dei morti in Sicilia di Andrea Camilleri, tratto da “Racconti Quotidiani”.

“Fino al 1943, nella nottata che passava tra il primo e il due di novembre, ogni casa siciliana dove cโ€™era un picciliddro si popolava di morti a lui familiari. Non fantasmi col linzรฒlo bianco e con lo scrรนscio di catene, si badi bene, non quelli che fanno spavento, ma tali e quali si vedevano nelle fotografie esposte in salotto, consunti, il mezzo sorriso dโ€™occasione stampato sulla faccia, il vestito buono stirato a regola dโ€™arte, non facevano nessuna differenza coi vivi. Noi nicareddri, prima di andarci a coricare, mettevamo sotto il letto un cesto di vimini (la grandezza variava a seconda dei soldi che cโ€™erano in famiglia) che nottetempo i cari morti avrebbero riempito di dolci e di regali che avremmo trovato il 2 mattina, al risveglio.

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Eccitati, sudatizzi, faticavamo a pigliare sonno: volevamo vederli, i nostri morti, mentre con passo leggero venivano al letto, ci facevano una carezza, si calavano a pigliare il cesto. Dopo un sonno agitato ci svegliavamo allโ€™alba per andare alla cerca. Perchรฉ i morti avevano voglia di giocare con noi, di darci spasso, e perciรฒ il cesto non lo rimettevano dove lโ€™avevano trovato, ma andavano a nasconderlo accuratamente, bisognava cercarlo casa casa. Mai piรน riproverรฒ il batticuore della trovatura quando sopra un armadio o darrรจ una porta scoprivo il cesto stracolmo. I giocattoli erano trenini di latta, automobiline di legno, bambole di pezza, cubi di legno che formavano paesaggi. Avevo 8 anni quando nonno Giuseppe, lungamente supplicato nelle mie preghiere, mi portรฒ dallโ€™aldilร  il mitico Meccano e per la felicitร  mi scoppiรฒ qualche linea di febbre.

I dolci erano quelli rituali, detti โ€œdei mortiโ€: marzapane modellato e dipinto da sembrare frutta, โ€œrami di meliโ€ fatti di farina e miele, โ€œmustazzolaโ€ di vino cotto e altre delizie come viscotti regina, tetรน, carcagnette. Non mancava mai il โ€œpupo di zuccheroโ€ che in genere raffigurava un bersagliere e con la tromba in bocca o una coloratissima ballerina in un passo di danza. A un certo momento della matinata, pettinati e col vestito in ordine, andavamo con la famiglia al camposanto a salutare e a ringraziare i morti. Per noi picciliddri era una festa, sciamavamo lungo i viottoli per incontrarci con gli amici, i compagni di scuola: ยซChe ti portarono questโ€™anno i morti?ยป. Domanda che non facemmo a Tatuzzo Prestรฌa, che aveva la nostra etร  precisa, quel 2 novembre quando lo vedemmo ritto e composto davanti alla tomba di suo padre, scomparso lโ€™anno prima, mentre reggeva il manubrio di uno sparluccicante triciclo.

Insomma il 2 di novembre ricambiavamo la visita che i morti ci avevano fatto il giorno avanti: non era un rito, ma unโ€™affettuosa consuetudine. Poi, nel 1943, con i soldati americani arrivรฒ macari lโ€™albero di Natale e lentamente, anno appresso anno, i morti persero la strada che li portava nelle case dove li aspettavano, felici e svegli fino allo spร simo, i figli o i figli dei figli. Peccato. Avevamo perduto la possibilitร  di toccare con mano, materialmente, quel filo che lega la nostra storia personale a quella di chi ci aveva preceduto e โ€œstampatoโ€, come in questi ultimi anni ci hanno spiegato gli scienziati. Mentre oggi quel filo lo si puรฒ indovinare solo attraverso un microscopio fantascientifico. E cosรฌ diventiamo piรน poveri: Montaigne ha scritto che la meditazione sulla morte รจ meditazione sulla libertร , perchรฉ chi ha appreso a morire ha disimparato a servire”.

E in altre occasioni, Andrea Camilleri ha anche avuto modo di esporsi merito all’origine della festa, specificando come essa fosse legata alla stessa storia della Sicilia. “Noi siamo stati un popolo che ha subito ben tredici dominazioni – ebbe modo di sottolineare Camilleri –. Forse la dominazione che avrebbe potuto riscattarci, in un certo senso, dal carattere, sarebbe stata quella francese. Ma le altre, la greca, la romana, lโ€™araba e la spagnola, sono state dominazioni che avevano un acutissimo senso della morte ed un altissimo senso della ritualitร  connessa ad essa. Quando ero bambino, ricevevo il regalo il 2 novembre, vale a dire il giorno dei morti, perchรฉ la tradizione voleva che in quel giorno, i morti, durante la notte precedente, fossero tornati nelle loro case e portassero i regali ai loro discendenti”.

Inoltre, lo stesso scrittore spiegรฒ come il rito dei doni da parte dei defunti ai bambini si svolgesse nella stessa maniera in cui oggi avviene con i regali di Babbo Natale e di come i ragazzini non fossero affatto spaventati dalla visita di un loro caro trapassato. “Prima di andare a dormire – raccontava Camilleri –, mettevamo sotto il letto un canestrino, e aspettavamo che il morto o la morta di casa, a cui avevamo scritto una letterina, come si fa oggi con Babbo Natale, ci portasse i regali. I dolci erano il regalo che avevamo scelto. Nessuna paura di un morto, anzi la voglia di averlo in qualche modo presente”.

Tuttavia, come si legge anche dal racconto, Camilleri ammise la triste e progressiva messa in disparte della festa dei morti, facendola coincidere proprio con l’arrivo degli americani e delle loro tradizioni nel 1943. Allo stesso modo, perรฒ, il noto scrittore volle dare un segno di resistenza, rifacendosi proprio alla tradizione gastronomica di questo periodo.

Credo che perรฒ le tradizioni non si perdano del tutto – spiegรฒ Camilleri -. Non si trovano piรน i regali, i bambini non mettono piรน il cestino sotto il letto. Ciรฒ non toglie che tutte le pasticcerie siciliane, per il 2 novembre, preparino quei dolci speciali che servivano una volta per il cestino dei bambini. Mi riferisco ai pupi di zucchero, ai frutti di martorana, oppure a quei dolci di miele, tra lโ€™altro squisiti, detti ossa di morto. Questo รจ un modo di conservare comunque la memoria delle tradizioni – affermรฒ lo scrittore, per poi continuare –.ย Credo non possa esserci un popolo senza memoria delle proprie tradizioni. Le tradizioni si modificano ma รจ fondamentale continuare a conservarle, in qualche modo, perchรฉ in unโ€™epoca come la nostra, che รจ unโ€™epoca di mutamenti, lโ€™unico modo per non avere paura di tutto ciรฒ che sta avvenendo, รจ sapere chi sei, senza bisogno di dirlo, di proclamarlo. Ma se sai chi sei, con le tue tradizioni, non perderai mai la tua identitร .