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Home Catania

Da dove vengono i nomi dei paesi etnei? Viaggio nella toponomastica catanese

Maria Regina Betti di Maria Regina Betti
3 Agosto 2020
in Catania, In Copertina
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Quella dei paesi etnei non è solo un’uscita dell’A18, collocata tra lo sbocco di Acireale e quello di Gravina di Catania. Invece i paesi etnei hanno una storia e un’identità racchiusa nella toponomastica, spesso sconosciuta dagli stessi abitanti della città di Catania. Il più delle volte l’origine è legata a “nomina eloquentia”, che cioè suggeriscono il significato già dal nome. Per capire il perché di questi nomi interviene la storia locale, le cui fonti scritte sono poche, inesistenti o corrotte e spesso ci si affida alla tradizione orale. In questo articolo affronteremo l’origine del nome di alcuni paesi etnei: Nicolosi, Tremestieri, Misterbianco, San Pietro Clarenza, Sant’Agata li Battiati, San Gregorio di Catania, San Giovanni la Punta e Trecastagni. Naturalmente, i paesi che circondano l’Etna sono numerosi e non sarebbe possibile trattarli tutti in un unico articolo. Per questo, parleremo degli “assenti” in un’altra puntata di questo viaggio nella toponomastica.

I paesi etnei che hanno subito l’influenza religiosa dei monasteri

Un fattore determinate per molti ex casali è stata la presenza in loco di uno o più monasteri: in questi casi il nome del paese deriva dall’appellativo dato all’edificio religioso oppure dal fatto stesso che in quel territorio esistesse un monastero importante per la comunità circostante. In altri casi ancora la toponomastica deriva dall’unione dei due fattori. Nicolosi, ad esempio, rientra nel primo caso: già prima del ‘600 il casale era chiamato così e probabilmente deve la sua anagrafe alla locazione del Monastero di San Nicolò all’interno del suo territorio, oggi sede del Parco dell’Etna.

Appartiene, invece, alla seconda categoria la storia del nome di Tremestieri. È stato attestato da più fonti scritte (come il testo di un diploma del 1198 d.C.) che in epoca normanna la denominazione di questo comune era “Tria Monasteria”, cioè “Tre Monasteri”. Inoltre in una bolla papale del 1446 di Papa Eugenio IV, si legge che la Chiesa abbia riconosciuto ufficialmente la parrocchia cattolica “de tribus monasteriis”. Sembrerebbe però che nel passaggio dal latino al dialetto siciliano la seconda parte del nome abbia subito una corruzione a causa della lingua parlata, finendo per essere trasformato in Tremestieri.

Nell’ultima squadra, invece, gioca la storia del nome Misterbianco. Proprio qui, nel quartiere Campanarazzu, sorgeva l’imponente “Monasterium Album”, che ospitava un ordine di monaci domenicani. “Album”, che in latino significa “bianco”, era riferito al colore del saio indossato dagli stessi monaci. Dopo l’eruzione del 1669, il monastero fu distrutto e recuperato soltanto lo scorso secolo con appositi scavi e lavori di restauro. Anche qui il passaggio da Monasterium a Mister- ha risentito del fenomeno linguistico della corruzione: la parte che segue la M iniziale è persa e si è trasformata in Msterium, la desinenza neutra è caduta e infine “album” è stato tradotto in italiano.

I paesi etnei che hanno subito l’influenza religiosa del culto dei Santi

In Sicilia la festa del santo patrono è da sempre considerata come massimo evento di aggregazione e partecipazione di una comunità. Innegabile è, dunque, il prestigio assunto col passare dei secoli dai culti cristiani, in un primo momento ancorati alla religiosità popolare, ma poi legittimati. Sono ben quattro paesi etnei il cui nome suona come un omaggio ad un santo o ad una santa: San Pietro Clarenza, Sant’Agata Li Battiati, San Giovanni la Punta e San Gregorio di Catania.

Prima della seconda metà del XVIII secolo, il casale di San Pietro Clarenza era conosciuto come “Sampietro”. In fonetica la consonante N davanti alle labiali B e P diventa M se la parola viene detta tutta in una volta. Sampietro era chiamato così per il santo patrono venerato fino all’eruzione del 1669. In seguito alla colata lavica, gran parte del paese fu distrutto. In quei momenti di pericolo gli abitanti si rifugiarono nella chiesa di Santa Caterina, che fu risparmiata. Da allora il santo patrono cambiò e i sanpietresi si rivolsero a una donna. Nel 1779 il casale fu acquistato da Giuseppe Mario Clarenza, un nobile catanese che decise di investire in quelle terre ricche di vigne e ulivi. Ma in realtà fu solo un’abile mossa: infatti la casata dei Clarenza decise di costruire un imponente palazzo accanto al teatro Bellini, in quella che oggi prende il nome di via Michele Rapisarda, dove andò ad abitare con la successiva dinastia fino alla sua vendita.

Sant’Agata Li Battiati, invece, è legata al culto della giovane martire catanese, tanto da prenderne il nome. Nel 1444 un altro fenomeno vulcanico aveva disturbato la piccola popolazione che abitava tra San Giovanni la Punta e Gravina di Catania. Fu dato il via libera dalla Chiesa per portare il velo di Sant’Agata dai luoghi del martirio fino alla omonima chiesa situata nel quartiere “Batteati” (oggi Via Roma). In quella occasione la lava si fermò miracolosamente all’interno dell’odierno Parco del Toscano, che si trova davanti la chiesetta, e il paese fu consacrato alla giovane Agata.

Strettamente collegato alla stessa eruzione lavica è anche il comune di San Giovanni La Punta, che inizialmente era chiamato San Giovanni de Nemore, dal latino “nemus, nemeris” che significa “bosco”, elemento predominante del territorio. L’eruzione lavica, infatti, si fermò davanti ad un’edicola votiva di San Giovanni Evangelista, il cui culto era molto sentito già da prima. Questo evento rafforzò ancora di più il legame religioso e non fece altro che confermare il San Giovanni ad incipit. La Punta fu inserito successivamente, anche per distinguerlo da quella che poi sarebbe diventata frazione di Catania, San Giovanni Galermo, per la sua conformazione geomorfologica: i confini del paese, infatti, creano una punta verso sud, in direzione Canalicchio.

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Su San Gregorio di Catania non c’è molto da dire, perché la storia è tristemente frammentaria. Abolito il feudalesimo dopo l’Unità d’Italia, il territorio divenne un vero e proprio comune affidato ad un podestà e il paesino fu chiamato come il santo venerato, ovvero Papa Gregorio Magno.

Un ruolo particolare assume Trecastagni, che non ha conservato nessun “San” che precede il nome, ma le cui origini sono legate sempre al culto dei martiri. Ci sono ben tre ipotesi sulla denominazione di questo paese. La prima ricerca etimologica sostiene che il nome sia nato nell’antichità per la presenza tre grandi alberi secolari di castagne, quindi il nome latino sarebbe “Tres Castaneae”. La seconda ipotesi, invece, sigilla lo stretto legame con la venerazione locale dei tre santi Alfio, Cirino e Filadelfo, che secondo la leggenda sostarono proprio in queste terre durante il viaggio da Vaste a Lentini: il nome deriva da “Tres Casti Agni”, cioè “tre casti agnelli”. La terza ed ultima teoria è quella meno accreditata: il nome verrebbe da “Tria Castra”, cioè “tre accampamenti”.


Leggi la seconda parte del viaggio nella toponomastica dei paesi etnei

Tags: Belpassogravina di cataniamascaluciamisterbianconicolosipedarasan gregorio di cataniasan pietro clarenzasant'agata li battiatitrecastagnitremestieri etneoviagrande
Maria Regina Betti

Maria Regina Betti

Laureanda in Lettere Classiche, appassionata di luci rosse e di rullini, si dedica alla fotografia digitale, analogica e istantanea.

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