Gli esami, si sa, incutono timore a tutti gli studenti universitari. Tutti noi abbiamo vissuto almeno un esame come un incubo, come un vero e proprio scoglio insuperabile. Ma avete dimenticato il colloquio orale dell’esame di Stato? Cinque anni di studio per arrivare a quel momento fatidico: il momento del colloquio orale. Sette insegnanti di fronte a me. Io, con la bocca irrimediabilmente secca, seduto davanti a loro. Inizia il colloquio: parlo della mia tesina sul “Male di Vivere”, loro mi ascoltano interessati. Poi qualcosa accade: il presidente parla. Mi interrompe. Inizia l’interrogazione. L’insegnante di italiano mi fa accomodare davanti a lei. In un istante ripercorro tutto il programma e mi maledico! Penso che avrei potuto fare sicuramente di meglio. Qualche domanda su Leopardi, un’analisi veloce, dopo ancora Pirandello. Tutto bene. Poi partono quelle domande. Sapete quelle domande, strane, quasi in codice, che un po’ tutti i prof pongono. Ecco esattamente quelle. Pensate alla mia agitazione in quel momento… non riuscivo a capire ma la professoressa mi dava degli indizi. Inizio Novecento, protagonisti infelici, problemi esistenziali. Ci sono! Mi si illuminano gli occhi, quando pronuncio trionfante il nome di SVEVO! La professoressa annuisce soddisfatta, parlo entusiasta di Zeno Cosini e del suo essere inetto. Il discorso mi coinvolge, l’insegnante insiste sul tema dell’inettitudine. Io non indugio. Non racconto la trama del romanzo, mi soffermo a parlare dell’inettitudine sveviana nella società di oggi, nella società dei giovani. La professoressa è ancora più interessata. Io continuo dicendo che la poetica di Svevo è verificabile ogni giorno nella vita di tutti noi. Zeno Cosini soffre, è un inetto, sta male. Alla fine del romanzo guarisce, dice che “la vita è inquinata alle radici” e che scoprirlo è addirittura segno di salute. Mi innervosisco da solo pensando a tutti i miei coetanei svogliati, continuo a parlare e dico che nella vita ho incontrato troppi inetti, troppi fannulloni che hanno deciso di oziare, giustificando la loro pigrizia con il male che affligge la società, con “l’inquinamento alle radici”. La professoressa, un po’ stranita per la mia agitazione, sgrana leggermente gli occhi, mi lascia concludere. Dico ancora che Zeno Cosini guarisce, che non è più un inetto. Pur considerando la società malata, lui è riuscito a guarire. Noi giovani, non ancora. O almeno, la maggior parte di noi ha deciso di non investire per il nostro stesso futuro. Ha deciso di non interessarsi ai problemi del nostro paese, ha deciso che non ci sono soluzioni. La maggior parte di noi ha fatto di tutta l’erba un fascio. La nostra società non ha via di scampo, la dobbiamo rottamare. E il nostro futuro? Forse a quello non hanno pensato. Nessuno ci costruirà un futuro, se non cominciamo noi sin da ora. O forse dobbiamo rottamare anche quello? Sono rosso in viso, forse ho esagerato un po’, ma Svevo era Svevo. “Bravo, passiamo al latino”. Latino? Ritorno subito con i piedi per terra. E continuo il mio colloquio sereno. E non importa se anche all’università ci sono degli esami che sembrano dei veri incubi.. continuiamo a studiare, perché noi, a 20 anni, inetti non ci possiamo diventare!
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