Catania è, secondo la graduatoria stilata da ItaliaOggi, dall’Università La Sapienza di Roma ed in collaborazione con Cattolica Assicurazioni, tra le città in cui si vive peggio. Di fatto è suo il 100esimo posto sui ben 107 caratterizzanti la classifica sulla qualità della vita 2021.
Tra gli indicatori di benessere su cui si basa la ricerca spiccano “affari e lavoro”, “popolazione” e “istruzione-formazione e capitale umano”.
L’Istituto nazionale di Statistica, meglio conosciuto come Istat, fornisce costantemente ulteriori informazioni circa questi aspetti.
E a questo si deve la recente pubblicazione di alcune infografiche sui capoluoghi delle città metropolitane: si riportano i dati di censimenti permanenti che coinvolgono un campione di famiglie e divengono strumenti utili ad apprendere qualcosa in più sulla presenza di giovani a Catania ma anche in merito a livello di istruzione ed occupazione dei residenti, più in generale.
Si precisa, tuttavia, che i censimenti indicati si fermano al 2019, l’anno precedente lo scoppio della pandemia.
Residenti a Catania: cosa è cambiato con gli anni?
Prima di svelare alcune caratteristiche dei residenti di Catania, sarà necessario capire quanti questi effettivamente siano.
Nel 2019, ultimo anno preso in considerazione, in città risiedevano 296.266 persone: un numero leggermente più alto rispetto a quello del 2011, in cui si registravano 293.902 residenti. Tuttavia, a distanza di un più lungo tempo, Catania si sarebbe spopolata. Uno stacco netto, in particolare, emerge nel confronto con il 1971: quell’anno i residenti di Catania erano ben 400.048.
Meno giovani in città
L’infografica fornita dall’Istituto nazionale di Statistica permette a chiunque volesse consultarla di farsi, prima del resto, un’idea sull’età dei residenti. Emerge che nel 2001 in città si contavano più giovani. Basti pensare che quelli di età compresa tra i 25 ed i 29 raggiungevano quasi la soglia dei 25.000 e costituivano il gruppo più numeroso. A distanza di 18 anni la realtà in città è cambiata e, con essa, le cifre.
Sebbene non si fornisca un numero preciso, dal grafico Istat emerge una notevole riduzione dei residenti appartenenti alla fascia 25-29 anni: due anni fa erano circa 18.000.
Anche uomini e donne con qualche anno in meno, nello specifico tra i 20 e i 24, nel 2019 non superavano più quota 20.000 come all’inizio del nuovo millennio.
Ma si tratta di un cambio di rotta destinato davvero a sorprendere? I dati Istat andranno correlati, tra il resto, ad un fenomeno tutt’altro che nuovo. Da anni diversi report raccontano di fuga di cervelli, di abbandono in massa del Sud, di un’emigrazione che, secondo un Rapporto Svimez, solo nel 2017 ha riguardato 66.557 giovani nati al Sud. E i catanesi non restano esclusi.
La popolazione di Catania, nel frattempo, è divenuta più anziana. Un dato fra tutti lo dimostra: nel 2019 la porzione più consistente di residenti era costituita da persone di età compresa tra i 50 ed i 54 anni.
Fronte istruzione: più donne che uomini con un titolo terziario
Notizie parzialmente confortanti, al contrario, riguardano il livello di istruzione dei residenti. Nel 2011, a Catania le persone con titolo di studio terziario di I o II livello (incluso un dottorato di ricerca) risultavano essere il 12,7%: una percentuale comunque superiore a quella nazionale (dell’11,5%).
Nel corso dei seguenti 8 anni questo tasso è cresciuto, raggiungendo il 14,2% (in linea con il 14,3% nazionale).
Ad ogni modo tale aumento dovrebbe far gioire con cautela. Nel 2019 Venezia, che in quell’anno registrava meno residenti che Catania (258.685 nello specifico), contava già un numero più alto di persone che hanno proseguito gli studi dopo il diploma, ottenendo un titolo di studio terziario: questo si attestava già a 17,3%.
Cosa sarebbe successo nei mesi a seguire? Non si indicano qui i dati del 2020 strettamente legati a Catania ma si sa che un anno non sarebbe bastato a cancellare in Italia nette differenze territoriali: è quanto emerso dal report annuale sul livello di istruzione e partecipazione alla formazione recentemente pubblicato dallo stesso Istat.
L’anno scorso, lo stesso dello scoppio della pandemia, al Sud solo il 16,2% aveva ottenuto un titolo terziario. Al Nord, invece, i laureati corrispondevano al 21,3%: in altre parole, più di una persona su cinque dimostrava di possedere un livello di studio.
Il report ha sottolineato anche come nel 2020 il livello di istruzione delle donne fosse risultato più elevato di quello degli uomini. Una precisazione che trova riscontro nell’analisi della situazione presentata negli anni precedenti dalle singole città, tra cui Catania. Di fatto, secondo l’infografica relativa ai censimenti permanenti popolazione e abitazioni, sia nel 2011 che nel 2019 nel capoluogo etneo più donne che uomini hanno conquistato un titolo di studio terziario. Nell’anno più recente queste sono state il ben 55,4%, mentre gli uomini hanno raggiunto il più basso 44,6%.
Lavoro: a Catania netto divario di genere e numeri peggiori di altre città
Accanto ad un numero così importante di donne ben istruite in città, molti si aspetterebbero di leggere una cifra altrettanto alta di lavoratrici. Ma chi coltiva tale aspettativa, purtroppo, rimarrà deluso.
Nel 2019 gli occupati a Catania sono stati, tra italiani e stranieri, 86.825: il 61,3% di uomini contro il solo 38,7% di donne. Si tratta di un dislivello comune ad altre aree della Penisola?
Venezia nel 2019 contava, in totale, 108.830 lavoratori e lavoratrici. Una cifra più alta in rapporto ad una minor quantità di residenti, i 258.685 già indicati. Anche qui si evidenzia un gap di genere ma per certo meno grave: prima dello scoppio della pandemia, nell’ultimo anno di “piena normalità”, nel capoluogo veneto le residenti donne con impiego raggiungevano il 44,5%, gli uomini il 55,5%.
Ma, più in generale, Catania ha registrato migliori dati sull’occupazione? Secondo quanto indicato dall’Istat, i lavoratori sono aumentati insieme alla popolazione. Rispetto ad otto anni prima, di fatto, nel 2019 in città si contavano quasi 3.000 residenti in più e 4.579 nuovi occupati.