Tra gli eroi creati dalla fantasia umana, re Artù è forse il più emblematico e famoso al mondo. Egli è il condottiero inglese per eccellenza, onesto, valoroso e legato indissolubilmente alla cultura e al tessuto identitario della Gran Bretagna. Eppure, secondo alcuni filoni del mito di Artù, il fantomatico sovrano di Camelot intreccerebbe le sue gesta anche con la città di Catania e, in particolare, con la sua amata Etna. Secondo una leggenda, infatti, la reggia di Artù si troverebbe proprio dentro il Vulcano, luogo in cui egli vivrebbe tuttora.
Immaginare un re Artù che vive, passeggia e si muove tra i boschi e i sentieri dell’Etna può provocare certamente dello sbalordimento. Basti pensare, tuttavia, a quanto questo personaggio faccia parte dell’immaginario umano per rendersi conto che non si tratta poi di una faccenda così insolita. Al di fuori dell’Inghilterra, infatti, sono numerose le tradizioni popolari che hanno inglobato questo personaggio, rendendolo, in una qualche maniera, “nostrano”. Non stupisce, dunque, di vedere catapultato Artù su un monte in India o, ancora, collocato in una reggia all’interno dell’imponente Vulcano etneo.
I Normanni e la diffusione in Sicilia del mito arturiano
I Normanni, come ben si sa, conquistarono l’Isola, governato per numerosi decenni e influenzando inevitabilmente la cultura del luogo. Sbarcati a Messina nel 1061, divennero i sovrani di Sicilia, ma prima ancora la loro supremazia era stata imposta anche sull’Inghilterra. Sicilia e Inghilterra vennero così congiunte da uno stretto nodo e fu proprio in questo periodo che cominciarono a nascere e a diffondersi leggende anglo-sicule, derivanti principalmente dal ciclo bretone arturiano.
Fu in tal modo, quindi, che le eroiche gesta di re Artù e dei suoi nobili cavalieri cominciarono a essere conosciute anche al di là della Manica e, in particolar modo, nell’Isola. Come spesso accade, tuttavia, ogni popolo tende ad arricchire le antiche tradizioni di elementi “nostrani” che li rendano più vicini all’identità del posto.
Nella versione bretone, quella propriamente inglese e originale, per esempio, re Artù venne sfidato in battaglia da Mordred, il figlio nato dall’incestuosa unione con la sorella Morgana. Ferito gravemente e ormai prossimo alla morte, Artù decise di consegnare la sua magica spada, Excalibur, danneggiata dalla lotta, al fidato Lancillotto. Chiese all’amico, infatti, di riportare l’arma nel luogo in cui era stata originata. Lancillotto gettò, così, l’arma nel lago, che la inghiottì per sempre nelle sue acque.
Re Artù e l’ultimo desiderio che lo condusse in Sicilia
La versione sicula del mito di re Artù, giunto a noi probabilmente grazie alla tradizione del teatro dei pupi, è leggermente diversa. Ci troviamo sempre sul campo dell’ultima battaglia di Artù contro Mordred, ma, anziché ordinare a Lancillotto di gettare Excalibur nel lago, al sovrano morente di Camelot venne l’idea di ripararla.
Supplicò l’arcangelo San Michele perché esaudisse quest’ultimo desiderio. L’angelo lo trasportò, quindi, fino in cima all’Etna. Qui il re poté, grazie al magma incandescente, saldare i due tronconi della spada, fatta a pezzi durante il duello.
Stanco e sereno, Artù si addormentò e al suo risveglio scoprì di trovarsi immerso in un paesaggio meraviglioso e ricco di vita. Fiori colorati rallegravano l’aria, il sole risplendeva, il cielo azzurro e il mare in lontananza sembravano essere stati tirati fuori da un dipinto. Oramai innamorato dell’Etna e della terra che si estendeva ai suoi piedi, Artù pregò Dio perché lo lasciasse vivere ancora un po’, così da poter godere della bellezza di quel posto. Ancora una volta le sue preghiere furono ascoltate.
Re Artù e la reggia costruita dentro l’Etna
Con l’aiuto della sorella Morgana, Artù costruì una splendida reggia all’interno del cratere centrale del Vulcano. Lì il mitologico eroe restò a vivere, inebriandosi della bellezza incontaminata dell’Etna. Il suo intento era anche quello di vigilare perché essa non distruggesse Catania durante le sue eruzioni. Non è un caso, tra l’altro, che la natura onesta e protettiva di questo personaggio sia stata ripresa anche da altre leggende catanesi, come quella del cavallo del vescovo. Qui Artù, ancora una volta protagonista del mito, si preoccupa di riportare la giustizia negata per troppo tempo a Catania da un vescovo crudele.
Si narra, comunque, che ancora oggi egli abiti all’intero della sua reggia e si aggiri per i sentieri dell’Etna, da cui si allontana soltanto per portare frutti e fiori siculi in dono ai bambini inglesi. Durante le sue assenze il Vulcano ne approfitta per manifestare tutta la sua potenza, sputando lapilli e cenere su Catania, per poi rasserenarsi al ritorno di Artù.