Ecoansia, una realtà che sempre più giovani vivono sulla propria pelle. In occasione della Giornata Mondiale della Terra, l’UNICEF Italia ha lanciato l’allarme con un’indagine condotta da Youtrend: il 22% degli italiani, una volta spiegato il termine, riconosce nella propria esperienza personale i sintomi dell’ecoansia.
Sintomi che vanno ben oltre la semplice preoccupazione: il 9% degli intervistati parla di pensieri ricorrenti e incontrollabili legati al destino ambientale del pianeta, mentre il 7% accusa vere e proprie manifestazioni fisiche come mal di testa, nausea, palpitazioni. E se queste percentuali sembrano basse, basta scorrere le risposte dei giovani per capire che la portata del fenomeno è molto più profonda. Il 32% degli under 45 ha dichiarato che la crisi climatica li scoraggia dall’idea di diventare genitori. In pratica, uno su tre considera l’ipotesi di non mettere al mondo figli per non condannarli a vivere in un mondo che sembra sempre più invivibile.
Un’infanzia già ferita dal cambiamento climatico
I bambini, secondo l’UNICEF, sono tra i più esposti: quasi il 90% del carico globale di malattie associate a fenomeni ambientali estremi colpisce minori sotto i 5 anni. Sono più vulnerabili fisicamente, ma anche psicologicamente. Le ondate di calore, le alluvioni, gli incendi boschivi, che colpiscono ormai anche il nostro Paese, lasciano cicatrici invisibili: senso di insicurezza, instabilità, angoscia. Sono un miliardo i bambini nel mondo che vivono in aree ad alto rischio climatico: una cifra che da sola basterebbe a definire l’emergenza.
E le Città Europee, tutt’altro che immuni, si riscaldano in modo sempre più allarmante. Si stima che 466 milioni di bambini vivano in zone soggette a ondate di calore straordinariamente frequenti: il doppio delle giornate rispetto a sessant’anni fa. I cambiamenti climatici non sono un incubo del futuro, sono la cronaca del presente, di cui dobbiamo maggiormente rendercene conto, contando anche da varie agevolazioni che lo Stato dà a disposizione per migliorare l’ambiente.
Ansia climatica: tra paura e responsabilità
L’ecoansia, quindi, non è solo un disagio individuale. È il riflesso emotivo di una crisi sistemica. Il 60% della popolazione italiana, secondo il sondaggio UNICEF, ammette di non riuscire a controllare le proprie preoccupazioni legate all’ambiente. Il 69% si interroga sul destino dell’umanità, e spesso arriva alla conclusione che il collasso sia ormai inevitabile. È come vivere con una nuvola perenne sopra la testa, e cercare comunque la forza per agire.
Ma proprio in questa tensione tra paura e speranza, nasce un nuovo tipo di attivismo: quello personale, quotidiano. Il 68% degli intervistati dichiara di sentire una forte responsabilità nell’essere sostenibile, anche nei piccoli gesti. Il 61% prova disagio quando non riesce a rispettare i propri standard ecologici. Fare la raccolta differenziata, ridurre i consumi, scegliere prodotti etici non sono solo atti ecologici: sono scelte che servono anche a tenere sotto controllo l’ansia, a ridurre il senso di impotenza.
Eppure, questo impegno personale non può bastare. L’ecoansia, come ogni forma di disagio psicologico, ha bisogno di essere riconosciuta, ascoltata, gestita. Non può essere lasciata come fardello sulle spalle di una generazione che ha già il peso del futuro. L’UNICEF lo ha detto chiaramente: serve più supporto psicologico, più educazione emotiva nelle scuole, più spazio per il dialogo.