Licodia Eubea, un piccolo paese e un immenso sito archeologico nella provincia di Catania, è il palcoscenico naturale di una manifestazione, il Festival della Comunicazione e del Cinema Archeologico. Si tratta di un evento contribuisce a valorizzare il patrimonio materiale e immateriale in modo peculiare e originale, riscoprendo il mondo antico, che talvolta calpestiamo con violenza, veicolandone la conoscenza attraverso un linguaggio più inclusivo: quello audiovisivo.
La missione del festival si precisa di anno in anno, si articola e si arricchisce sempre più. Per questa tredicesima edizione, l’archeologa Alessandra Cilio e il regista Lorenzo Daniele, direttori del festival, hanno voluto sperimentare una commistione di linguaggi: il linguaggio cinematografico in primo piano, quello fotografico, musicale ed anche il performativo. L’obiettivo era di raggiungere un pubblico variegato, non specialistico, e di riportarlo nelle sale: in particolare, nella sala di un teatro pubblico, il Teatro della Legalità, evocando così anche una sorta di incontro tra cinema e teatro.
Del resto, seguendo una delle masterclass in programma, apprendiamo che ogni ripresa è “un’opera teatrale” nel piano sequenza cinematografico e, proprio come un piano sequenza, si sono svolte le cinque giornate del festival, dal 9 al 15 ottobre, durante le quali è stato declinato variamente il tema centrale: il senso di appartenenza, il legame tra ambiente e uomo che plasma il nostro essere e la cultura, la cultura autoctona e la cultura tout court. Pertanto, per fare cultura in modo concreto, per diffonderla e disancorarla dall’esclusivo mondo accademico, per metterla in dialogo con i suoi veri protagonisti, gli uomini e le comunità, non è possibile prescindere dai luoghi, dai paesaggi geografici e umani.
“Studia, fai ricerca e dona i frutti della tua ricerca a chi ha il diritto di sapere” è il motto di Maria Antonietta Rizzo Di Vita, docente universitaria e moglie di Antonio Di Vita, studioso e intellettuale animato una forte vocazione etica e sociale, cui è dedicato uno dei premi previsti dalla manifestazione. Tale è il principio guida e ispiratore del festival che propone ogni anno una selezione di film di qualità, che sono il risultato di studi e ricerche condotte sul campo: trenta documentari tra cui dodici prime internazionali e nazionali, quindici prime regionali. Non a caso, il premio Antonio Di Vita è stato consegnato ad un altro intellettuale di spicco e sensibile alla comunicazione della cultura, Giorgio Ieranò, il quale ha ribadito la funzione civile dell’archeologia, che si realizza unendo ricerca e lavoro sul campo e che punta a tenere aperti i canali di dialogo con la popolazione, prima custode del territorio e prima destinataria di cultura.
È questo anche uno dei principali messaggi veicolati dal film vincitore del premio ArcheoVisiva, consegnato dalla giuria internazionale di qualità (composta da Francesca Monno, Dionysia Kopana, Lada Laura), che rappresenta in modo diverso e personale i due mondi cui il festival guarda, il cinema e l’archeologia, cui si aggiungono altri innumerevoli mondi, come quello della comunicazione. Il film in questione è Askòs. Il canto della sirena di Antonio Martino che lancia un importante monito a tutti i cittadini di una comunità, specie quelle più piccole e svantaggiate: farsi difensori del patrimonio culturale e valorizzarlo come nessun altro può farlo. Il film, il misterioso reperto archeologico e la sua storia simile a una leggenda, ripercorsa da Martino, esprimono pienamente la plurima vocazione del festival: una vocazione storica, antropologica, religiosa, spirituale e sociale.
Il Festival della Comunicazione e del Cinema Archeologico, “archeologico” nel senso più ampio e comprensivo del termine, un senso custodito dall’etimologia della parola che rimanda al concetto di origine, con Askòs Martino ha riscoperto le sue origini calabresi tornando a innamorarsi della sua terra. Con Il Rinascimento nascosto. Presenze africane nell’arte di Cristian Di Mattia, altro film vincitore, insignito del premio ‘Archeclub d’Italia’, si comprende come la costruzione di un’identità passi attraverso il confronto con un’alterità.
Infine, con l’intera avventura del festival e con la missione portata avanti da Alessandra e Lorenzo, dalle associazioni locali con cui fanno rete, dallo staff composto da studenti e abitanti del luogo, si rinsalda e si fa viscerale il legame con la terra, quell’humus da cui l’uomo stesso deriva e che custodisce tenacemente le tracce della sua storia.
Articolo a cura di Lucrezia Ceglie.