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Da Wikileaks al ban di Trump: la cyber-censura รจ una minaccia?

ban donald trump
Photo by Jakub Porzycki/NurPhoto via Getty Images
Da Wikileaks al ban di Trump: la cybercensura รจ uno dei mezzi che permette ai governi di bloccare e filtrare l'informazione. Ne parliamo con il prof. Piazza, docente al Dipartimento di Scienze Politiche di Catania.

Il 12 marzo si รจ celebrata la giornata mondiale contro la cyber-censura, una giornata istituita da Reporters Sans frontiรจres dal 2010. Con il termine “cyber-censura” si intende il controllo o il blocco della pubblicazione di contenuti โ€” o dell’accesso ad essi โ€” nella rete internet. Tale censura puรฒ essere effettuata dal governo, da societร  private su richiesta del governo o su propria iniziativa. Individui e organizzazioni possono essere spinti ad attuare l’auto-censura per svariati motivi morali o religiosi oppure per la necessitร  di conformarsi a norme sociali, a causa di intimidazioni, per evitare conseguenze legali o altro. รˆ un tema cruciale almeno dagli anni โ€™80, eppure ancora oggi attira meno attenzioni del dovuto.

Come funziona la cyber-censura

La censura di internet presenta molti tratti tipici delle altre forme di censura mediatica, tranne per il fatto che una volta censurato un sito web in ambito nazionale ciรฒ non impedisce agli utenti di accedervi attraverso altre vie. La cyber-censura inoltre ammette una procedura piรน โ€œspecializzataโ€ e generalmente funziona tramite il bloccaggio e il filtraggio di contenuti che puรฒ passare attraverso delle โ€œliste nereโ€ (quasi sempre occulte) e puรฒ essere attuata sia a livello nazionale che in modo piรน decentralizzato. Non รจ raro che dietro il messaggio “error 404 not found”ย si celi in realtร  un atto di censura online ben riuscito mirato a far credere che si tratti di un problema del sito in questione.

Quando pionieri del calibro di Vint Cerf o Bob Kahn immaginavano Internet, avevano in mente una struttura basata sullโ€™autonomia decisionale decentralizzata e un sistema orizzontale che sfuggisse a ogni tentativo di controllo; un modello diametralmente opposto a quello dei cosiddetti old media (media tradizionali). ย Ma quella che dal lato utente ha lโ€™aria di unโ€™imperdibile occasione per diversificare le informazioni, divulgare notizie in modo istantaneo e porre sotto gli occhi dellโ€™opinione pubblica mondiale temi sensibili, dal lato dello Stato si rivela invece uno spinoso grattacapo da risolvere.

รˆ indubbio che nellโ€™era del web 2.0 gli old media hanno perso la centralitร  che li ha caratterizzati per gran parte del XX secolo: quotidiani e telegiornali non costituiscono piรน i principali mezzi di reperimento delle informazioni. In particolare nei regimi in cui le libertร  dโ€™informazione risultano ristrette, Internet si รจ rapidamente trasformato in un efficace strumento per aggirare lโ€™omologazione dโ€™opinione scandita dai media di regime. Dietro lo spettro dello sgretolamento dellโ€™ordine costituito e della gestione del consenso si scatena lโ€™azione del censore che, come รจ facilmente intuibile, colpisce principalmente siti e contenuti di opposizione politica, insieme a quelli di minoranze etniche, religiose o LGBT, altri paesi ancora bloccano qualsiasi contenuto considerato blasfemo dalla maggioranza religiosa dominante.

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Ma lโ€™arma della cyber-censura non viene utilizzata esclusivamente da quei governi reputati non-democratici, anche altri paesi con una buona reputazione democratica applicano delle misure di filtraggio in merito ad argomenti considerati contrari all’etica delle norme sociali accettate. La censura alla pedopornografia รจ un chiaro esempio di legittimo (e virtuoso) uso dello strumento; in altri Stati vengono censurati siti web che inneggiano al razzismo o allโ€™omofobia, altri ancora bloccano ogni genere di contenuto pornografico.

Di sicuro uno degli atti piรน lesivi di cyber censura perpetrata dai governi (democratici o autoritari che siano) rimane quella che mira a imbavagliare lโ€™informazione mascherandosi dietro la sempreverde giustificazione della “sicurezza nazionale” come รจ recentemente avvenuto nel corso delle “primavere arabe” in Africa settentrionale o nel caso del blocco della piattaforma WikiLeaks a seguito della pubblicazione di migliaia di dispacci diplomatici statunitensi.

Il dilemma dei media

Non si puรฒ perรฒ parlare di cyber censura senza includere nel dibattito i social media e il ruolo cruciale che si sono ritagliati nel campo dellโ€™esercizio della libertร  di parola. Secondo il report annuale di We Are Social sono 4,20 miliardi gli utenti attivi sui social media.

Quando le suddette piattaforme sono piombate nelle nostre vite molti vi hanno riposto larga fiducia, credendo potessero essere dei sensazionali spazi democratici, dei ‘fori pubblici digitali‘, strumenti in grado di attuare una sfrenata disintermediazione e in cui far sentire la propria voce. Di fatto in parte cosรฌ รจ stato: da anni i social media consentono quotidianamente a miliardi di individui di esprimere la propria opinione (e il proprio dissenso), ย sono diventati strumenti di informazione e al contempo un terreno di gioco rilevante per la propaganda politica.

Cโ€™รจ perรฒ un ‘dettaglio’ di fondo che getta ombre sullโ€™intera vicenda: queste stesse piattaforme appartengono a privati che seguono la logica del profitto. Tale dettaglio รจ in realtร  una ragguardevole problematica da non trascurare poichรฉ permette a pochi, pochissimi individui non eletti di avere tra le mani un interruttore che ha il potere sterminato di silenziare miliardi di utenti.

Negli ultimi anni non sono mancati gli episodi di censura privata da parte dei social per motivazioni varie che vanno dalla divulgazione di fake news a quella di frasi dโ€™odio, uno degli ultimi esempi in tal senso รจ anche quello che ha suscitato piรน clamore, vale a dire lโ€™oscuramento del profilo personale di Donald Trump a seguito dei tumulti di Capitol Hill (per alcuni uno dei momenti piรน bassi della democrazia americana). Un evento divisivo che ha portato perfino Angela Merkel a definire “problematico” lโ€™oscuramento del profilo privato dellโ€™allora presidente USA. “รˆ possibile interferire con la libertร  di espressione, ma secondo i limiti definiti dal legislatore, e non per decisione di un management aziendale” aveva riferito la cancelliera tedesca a gennaio tramite il suo portavoce Steffen Seibert.

Cosa dicono gli esperti

Per approfondire il tema, abbiamo chiesto lโ€™opinione di Giovanni Piazza, professore di Sociologia dei Fenomeni Politici presso il Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’Universitร  di Catania.

“Uno potrebbe dire che nessuno dovrebbe esercitare la censura e che tutti dovrebbero essere liberi di potersi esprimere โ€“ spiega il prof. Piazza โ€“. Ebbene la mia posizione in linea di massima รจ questa: la libertร  di espressione dovrebbe sempre essere garantita. Il problema sorge quando si va oltre la libertร  dโ€™espressione e diventa una questione di valori. รˆ lo Stato a stabilire quando qualcosa รจ o non รจ reato e cosa censurare. Ogni comunitร  tende ad autoregolarsi stabilendo delle prioritร  e dei valori da difendere rispetto ad altri. Forse รจ meglio avere maggiori libertร , anche rischiando di lasciare qualche spiraglio a gruppi o persone che veicolano contenuti, a mio avviso, molto negativi, per evitare un rischio opposto e piรน grave, vale a dire una forte regolazione censoria nei confronti di tutto ciรฒ che puรฒ sembrare deviante. Questo sarebbe profondamente dannoso nei confronti di tutte le forme di espressione dal basso”.

Di fronte allโ€™ipotesi di considerare le piattaforme social alla stregua di editori il prof. Piazza si dimostra scettico: “In una casa editrice di solito ciรฒ che viene pubblicato รจ preceduto da unโ€™approvazione. La rete รจ molto piรน complicata, come si gestiscono miliardi di users che pubblicano enormi quantitร  di contenuti al giorno? Servirebbe uno stravolgimento della logica, permettendo un controllo dal basso dei social media che oggi svolgono sempre piรน la funzione di nuova sfera pubblica: unโ€™agorร  che seppur gestita da privati ha una forte rilevanza pubblica. Suggerirei una democratizzazione delle piattaforme, magari accorpando un controllo dal basso con uno dallโ€™alto. Cosa difficilissima da realizzare”.

Cโ€™รจ stata molta ipocrisia da parte delle piattaforme โ€“ dichiara il professore riguardo agli eventi di Capitol Hill โ€“.ย Per quattro anni hanno accettato qualunque eccesso di Trump, ma nel momento in cui il vento รจ cambiato hanno improvvisamente mutato atteggiamento. Di certo lโ€™assalto a Capitol Hill รจ stato un evento di importanza storica rilevante che ha contribuito al ban sui social. Inoltre mi verrebbe da dire che in fondo lโ€™istigazione allโ€™assalto del Campidoglio non sia avvenuta esclusivamente tramite i social media. A giocare un ruolo cruciale รจ stato infatti lโ€™uso di un metodo antico come il comizio avvenuto poco prima dei disordini. รˆ lo stile dei populisti: da un lato il rapporto face to face con i comizi dallโ€™altro lโ€™utilizzo ben organizzato e capillare dei social”.ย 

“Non sono assolutamente un suo estimatore, ma non so se il ban a Trump sia stato politicamente corretto โ€“ continua il docente โ€“ potrebbe trasformarsi in un precedente. In questo caso cโ€™era la motivazione dellโ€™incitamento alla violenza che nessuna piattaforma ritiene legittima, ma รจ chiaro che chiudere un volume di fuoco come il profilo personale di Trump รจ un atto forte e preoccupante. Magari oggi puรฒ far gongolare gli antagonisti politici di Trump, ma รจ molto pericoloso, e un giorno potrebbe essere utilizzato contro altre persone/gruppi”.