Non ce ne voglia la nuova società, la Sport Investment Group Italia S.p.A. (meglio nota come Sigi), a cui ogni tifoso rossazzurro non smetterà mai di dire grazie per il miracolo compiuto negli ultimi mesi, con il salvataggio della storica matricola 11700 e del glorioso Calcio Catania.
Non ce ne voglia la nuova società se quest’oggi, il titolo di questo pezzo, non è dei migliori. Non ce ne vogliano i singoli investitori, chi realmente ha messo mano al portafogli, se oggi puntiamo il dito verso di loro: una cosa è certa, il primo passo falso, decisamente evitabile, è stato fatto.
E non ci si nasconda dietro il consueto detto “solo il tempo darà le risposte“, perché il tempo quest’oggi, è stato inevitabilmente fermato e marchiato con una brutta storia scritta nero su bianco. Certe tipo di risposte, il tempo, non può darle e mai le darà. Marco Biagianti ha detto basta al calcio giocato, perché il Calcio Catania gliel’ha inevitabilmente e indirettamente concesso.
Si ritira con una conferenza fiume, ma di lacrime, la sua lunga storia d’amore con i colori rossazzurri durata ben 13 anni: “Amo il Catania e volevo chiudere la mia carriera qui. I sacrifici li farei solo per il Catania. Mi viene difficile capire il motivo del perché oggi non sono a Torre del Grifo. Non per forza devo far parte del progetto di una società nuova, però se si fanno promesse da mesi e non vengono tradotte in fatti qualcosa non va“.
Ruggini con la vecchia società Marco ne ha avute, a partire dalla clamorosa esclusione dalla rosa di quest’anno insieme all’amico di battaglia, nonché catanese, Rosario Bucolo, ma non è mai stata una persona scomoda, anzi. Resta da capire quindi di chi è la colpa (perché di quello si tratta) all’interno della nuova società di via Magenta. Un’esclusione rara, del rinnovo di una bandiera chiesta a gran voce da tutto il popolo rossazzurro, ma praticamente non ascoltata. Mai assecondata.
E se da un lato Maurizio Pellegrino e Vincenzo Guerini non hanno mai fatto trasparire un lieto fine a questa intricata e delicata vicenda, dall’altro si è un po’ giocati a scaricabarile. Una motivazione, legata prettamente ad una mera scelta tecnica, che onestamente fa acqua da tutte le parti. I pilastri crollano, perché fatti di sabbia, quando un giocatore come Marco Biagianti, che ha sempre dato l’anima dentro e fuori dal campo per la causa rossazzurra, venga considerato di troppo all’interno di un gruppo.
Scelta tecnica di mister Raffaele? Stentiamo davvero a crederlo, come se la pietra la si scagliasse contro l’ultimo degli arrivati. Un allenatore vorrebbe sempre un guerriero, pronto a dare l’anima, al suo fianco; un allenatore vorrebbe sempre un braccio destro su cui contare all’interno dello spogliatoio. E Marco, di troppo, non poteva mai esserlo, proprio lui che si è tatuato i colori rossazzurri non solo sulla pelle, ma soprattutto sul cuore.
Innegabilmente è la storia di troppe bandiere nel calcio, soprattutto in Italia, che tanto hanno dato per la propria maglia e altrettanti paradossali bistrattamenti hanno ricevuto in cambio. E se davvero fosse un problema di liste, pensiamo onestamente che proprio la prima casella avrebbe dovuta occuparla il suo nome: Marco Biagianti sarebbe stato un uomo in più per il Calcio Catania, non un problema da risolvere.
“Ama una maglia e falla tua per sempre“: hai ragione Capitano, prima o poi capiranno e allora sì che il tempo darà le sue risposte.