Se per gli adulti di quest’epoca mantenere il proprio lavoro e arrivare all’età della pensione sembra essere un percorso interminabile, ancor di più percepiranno questa impressione i loro figli. Per i giovani italiani il fenomeno si fonda su dati statistici certi; quelli diffusi dall’Ocse. Iniziando a lavorare a 20 anni di età, dovranno proseguire almeno fino al compimento del 71esimo anno di età. Il risultato? I giovani italiani dovranno prestare le loro forze fisiche e mentali al lavoro per almeno 50 lunghi anni prima di giungere all’età della pensione.
I dati diffusi dall’organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico hanno per protagonisti i ventenni che hanno iniziato a lavorare nel 2016. I giovani italiani che rientrano nel campione analizzato dall’Ocse, organizzazione internazionale con sede a Parigi, andranno in pensione soltanto a 71,2 anni di età. Un innalzamento che si differenzia non di poco dall’età idonea al pensionamento che riguarda parte della vecchia generazione impegnata tutt’ora nelle forze attive del Paese.
Al fenomeno dell’aumento dell’età in cui si raggiungerà la pensione non corrisponde una spesa inferiore riguardante proprio la voce della pensione. Infatti, confrontando l’Italia con gli altri stati analizzati nell’ambito della stessa ricerca, il Bel Paese è uno tra quelli che destina una quota più alta del proprio Pil proprio in ambito pensionistico-previdenziale. Lo dimostrano i dati del 2013 che attestano come ben il 16,3 % del Pil nazionale sia stato speso per colmare il fabbisogno inerente le pensioni, piazzandosi così al secondo posto nella classifica dei Paesi che più sborsano per le pensioni. Prima dell’Italia solo la Grecia, con il 17,4%. Ma a questa spesa non corrisponde un’età inferiore di pensionamento. In sostanza, in Italia si spende di più per finire con l’ottenere un risultato peggiore rispetto ad altri stati, non solo europei.
Raccogliendo e comparando questi dati, l’Ocse, nel rapporto Pensions at a Glance 2017, posiziona l’Italia al secondo posto. La penisola si guadagna il podio e destina i propri ventenni ad una lunga carriera lavorativa. I giovani italiani presteranno le proprie forze al Paese per 50 anni circa, dovendo lavorare fino ad un’età in cui le forze fisiche e mentali non sono certo paragonabili a quelle che si possono nella giovinezza. Con quali risultati competitivi per la produzione, la crescita e l’innovazione del Paese?
Al primo posto della stessa classifica si posiziona la Danimarca. La piccola penisola stretta tra il Mare del Nord e il Mar Baltico concederà la pensione ai suoi ventenni solo quando questi raggiungeranno i 74 anni di età. Il dato differisce di poco, come negli altri Paesi d’Europa dove l’età per raggiungere la pensione si innalza a ritmi simili a quelli del caso italiano e danese, eccetto qualche sporadico caso.
L’innalzamento dell’età della pensione ha conseguenze sulla partecipazione attiva alla vita civica da parte dei cittadini, nonché sul loro benessere psico-fisico e sul rendimento della prestazione lavorativa che svolgono, per citare altre due conseguenze che incidono sullo sviluppo umano della popolazione di un qualsiasi paese.
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