Il taccuino nero lo usavano già Vincent Van Gogh e Pablo Picasso per fermare le idee, durante i viaggi o le passeggiate, che sarebbero diventate delle opere d’arte. A distanza di anni accade lo stesso con molti artisti contemporanei, come Andrea Ventura, conosciuto nel mondo delle immagini come Andy.
Passione e genio creativo non mancano all’artista di Frascati che, ogni giorno, tramite i Social Network comunica con il suo pubblico. Si tratta di una condivisione reciproca, propone le sue creazioni e accoglie, nello stesso momento, i suggerimenti attraverso i quali i suoi progetti crescono. Le sue immagini si nutrono di ciò che lo circonda, sembrano essere la proiezione su carta della realtà che osserviamo e che, se guardata con poca attenzione, può sfuggirci.
È lo stesso Andy a parlarci del suo lavoro e della rubrica “Canzoni disegnate così come sono scritte”, che sta riscuotendo un gran successo.
1. Chi è Andy Ventura?
«Sono un grafico, illustratore e vignettista, classe 1983, vivo in provincia di Roma. Scarabocchio su carta e su supporto digitale da sempre».
2. Con quali fumetti sei cresciuto? La tua prima vignetta qual è stata?
«Ho sempre amato i fumetti dei supereroi americani. A partire dall’adolescenza ne ho letti a quintali. Poi, dai venti anni, sono passato a quelli francesi e italiani. Oggi macino di tutto. La mia prima vignetta fu nel 2001 sul giornalino della scuola superiore dove disegnai Bin Laden in vacanza in un posto sperduto».
3. Quando hai un’ispirazione in che modo la catturi prima di farla diventare una vignetta?
«Ho sempre un taccuino e una penna con me. L’ispirazione è spesso e volentieri un lampo di un’idea che si manifesta nei luoghi più disparati e mai sempre allo stesso punto. Quindi né nella classica doccia né in fila alla posta, ma nemmeno sul water. Quando le sinapsi lavorano insieme e l’input è in mezzo per caso capita di avere l’idea giusta al momento giusto e rapidamente segnarmela. Dopo averla segnata torno a casa e me la appunto su un post-it sulla scrivania e li potrebbe macerare settimane o mesi nell’attesa di usarla e disegnarla. Ho più di duecento tra post-it e fogli su cui sono appuntate cose da disegnare».
4. Quando lavori c’è qualcosa che non deve mancare intorno a te?
«Musica di sottofondo. È quella che regola l’armonia del tutto. Senza musica sarebbe tutto più difficile».
5. “Canzoni disegnate così come sono scritte”, cosa ti ha ispirato e in che modo hai sviluppato l’idea?
«Quando ascolto una canzone in genere penso ad altro. Quando sono canzoni italiane con un minino di concetto a volte mi concentro per capirne il senso che spesso e volentieri nei testi di Guccini, De Andrè, Battiato o De Gregori non sempre è immediato. Un po’ per l’uso della poesia, un po’ per il taglio cantautoriale. Ed ecco che in alcuni testi di cui a volte misconosco il senso parte la fantasia. Un giorno ascoltavo in auto la canzone di F. De Gregori “e non c’è niente da capire” un verso recita così “E se i tuoi occhi fossero ciliege il non ci troverei niente da dire” ho immaginato immediatamente questa scena e me la sono appuntata (conservo ancora il post-it). Da li ne disegni altre e le feci macerare qualche settimana in cerca di altra ispirazione. Infine a ottobre lanciai la rubrica».
6. Questa tua rubrica è diventata subito virale. Secondo te, cosa ha attirato così tanto l’attenzione del tuo pubblico?
«Credo l’estrema popolarità delle canzoni unita a una facile fruizione del disegno. Semplice e diretto. Mix vincente nell’era social. Meno ci metti a leggere, a capire e a sorridere e più sarà virale. La musica alla fine è un media così vastamente popolare e trasversale che non puoi non conoscere i versi di Battisti “seduto in quel caffè”».
7. Cosa hai pensato quando hai avuto in mano, per la prima volta, il libro con la tua rubrica?
«Che non sai mai come andrà a finire il tuo futuro. Da anni punto tutto sul potere delle idee e su come la forma debba essere affiancata a un minimo di sostanza. Con le canzoni disegnate credo di aver in parte centrato il mio obiettivo».
8. “Er Principe”, cosa ti ha spinto a realizzare un’illustrazione sul famosissimo libro di Antoine de Saint – Exupéry?
«Ho una rubrica, una delle più creative, chiamata “Mash-up” ovvero mescolanza, mix di più cose, in genere due del tutto diverse e distanti tra loro. Unire la poesia d’autore del Piccolo Principe alla rozzezza di Mario Brega è stato allo stesso tempo disturbante quanto conturbante. A me piace unire cose estremamente pop tra loro e mischiarle tra loro. A volte funziona di più a volte funziona meno. Con “Er Principe” ho bucato i social da più parti».
9. Quest’anno si è parlato tanto della satira e, spesso, si sono posti dei limiti alla fantasia degli illustratori. Qual è il tuo rapporto con questa?
«Io faccio satira dal 2007. Ho preso, grazie a essa, anche il tesserino da Pubblicista/Giornalista. Raramente oggi ne faccio uso, ma vedo che in molti in rete la utilizzano. Io penso che la satira non abbia limiti. L’unico limite sia l’intelligenza di chi la legge. Amo la satira che abbia non solo il potere propulsivo della risa
ta, ma anche del ragionamento finale. È come gustare un pezzo di cioccolata fondente che alle prime da toni dolci, ma alla fine ti rimane in bocca l’amaro del fondente. La satira che sbeffeggia i potenti/religioni/costumi fine a se stessa già la troviamo nelle chiacchiere da bar. In rete purtroppo denoto una calo vertiginoso di qualità e contenuto».
10. Hai già realizzato delle vignette che rispecchiano la vita degli universitari. Potrebbe essere il tema per la tua prossima rubrica?
«Ne ho fatte un paio sul mondo universitario e per come ho vissuto il mio ciclo di studi potrei scriverne un trattato, altro che rubrica! Diciamo che me ne sono capitare di tutti i colori. Da esami scritti persi, orali da comiche fino a usi e costumi di studenti, professori e assistenti. Se farò una rubrica sul mondo universitario? chi lo sa!».
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