Secondo una ricerca svolta dal Time, noto magazine americano, la figura professionale dell’avvocato si collocherebbe tra le professioni che provocano più infelicità, al terzo posto in classifica.
Lo studio del magazine americano Time, porta in luce le cinque professioni più remunerative ma allo stesso tempo più infelici, e tra queste, al terzo posto si colloca l’avvocato, in ex aequo alla figura professionale del dentista.
E’ ovvio che lo studio svolto dal magazine si concentri su grandi città americane, New York e Chicago, dove di certo l’avvocato non stenta ad affermarsi, non è costretto a cercare una strada alternativa, a chiudere partita iva, studio e quant’altro. Parliamo, infatti, di città in cui il reddito medio annuo per un avvocato è di 160 mila dollari, dunque l’infelicità dell’avvocato non è di certo correlata alla precarietà della professione o al poco ( o a volte nullo) guadagno. Insomma, non parliamo di una situazione paragonabile a ciò che un (giovane) avvocato è costretto a vivere nel nostro Bel Paese, o nello specifico all’interno della città Catania. Tante volte abbiamo sentito storie di amici, di persone lontane o vicine a noi, abbiamo tante volte letto notizie di giovani avvocati con tanta voglia di fare, con grandi ambizioni, capacità e con grande amore per la professione forense, ma costrette a cambiare rotta, a chiudere, con frustrazione spesso, un capitolo importante che, invece, sarebbe dovuto durare per tutta una vita.
Se a New York e Chicago l’alta remunerazione non è direttamente proporzionale alla felicità dell’avvocato, che invece si colloca addirittura tra le liste di maggiori suicidi, a Catania, di certo un avvocato che è costretto a chiudere la propria professione dopo anni di sacrifici personali, non vivrà una condizione migliore, eppure lo spirito di rivalsa e la tenacia non sembrano mancare.
Gli avvocati americani, oltre che per gli alti tassi di suicidio, sembrano riscontrare il più alto tasso di depressione tra le cento professioni considerate in uno studio della Johns Hopkins University. Gli avvocati, infatti, avrebbero 3,6 volte più probabilità, rispetto alla media, di essere depressi.
Nel 2013, gli avvocati associati sono saliti al top della lista di Forbes “Unhappiest Jobs” (Lavori piu’ infelici), superando addirittura lavori meno prestigiosi e meno remunerativi come lavoratori in servizi di Customer Service e commessi di negozio. La ragione starebbe nel fatto che gli avvocati associati sarebbero più frustrati dalle troppe ore lavorative giornaliere, dalla pressione delle scadenze e delle responsabilità professionali, dall’essere costantemente preoccupati della fatturazione dei clienti, e anche dal trattamento economico che, rispetto ai soci nella loro law firm, sarebbe modesto.
Dunque, se si volesse fare un parallelismo tra le condizioni dell’avvocato nelle grandi metropoli americane e in città come Catania, si potrebbe evidenziare un comune senso di frustrazione e di infelicità, determinato però da fattori diversi: nel primo caso l’avvocato lavora, produce e probabilmente riceve anche molte soddisfazioni dal suo lavoro, ma percepisce le grandi difficoltà inevitabili che un lavoro così pieno di responsabilità e di impegno comporta; nel secondo caso, spesso, la precarietà che comporta la carriera forense, l’incertezza di un futuro, le poche soddisfazioni economiche ma non solo, il mancato riconoscimento e riscontro da parte di una intera società, comportano certamente una vita infelice. E’ anche vero, d’altra parte, che accanto a storie di sconfitta personale, vi sono storie positive, che lasciano ben sperare o storie di apparente sconfitta ma da cui, poi, si è riusciti a ripartire, a ricostruire un futuro, migliore o diverso, ma pur sempre un proprio futuro.