Alcuni l’hanno osservata frettolosamente soltanto una volta, molti altri hanno la fortuna di ammirarne i dettagli ogni giorno: si parla della monumentale Porta Ferdinandea, l’arco trionfale eretto a Catania nel 1768, per commemorare le nozze tra il re Ferdinando III di Sicilia e Maria Carolina d’Asburgo-Lorena.
Sulla sommità di quello che i più conoscono come “Fortino” non si riscontra soltanto l’iscrizione “Melior de cinere surgo” ma si staglia anche un grande orologio. Se l’oggetto risulta a tutti visibile, la storia a questo legata è rimasta per la maggior parte dei catanesi a lungo in ombra. LiveUnict ripercorre la triste vicenda di Orazio Oteri, che dell’orologio di Porta Ferdinandea è stato custode.
Come indicato dalla pagina Obiettivo Catania, fu il giornalista Salvatore Nicolosi a riportare alla luce una storia poco conosciuta o da quasi nessuno ricordata. Al centro di questa narrazione non c’è alcun valoroso eroe, nessun celebre personaggio storico: se si volesse, questa potrebbe iniziare con “C’era una volta un semplice custode di nome Orazio Oteri…” . La natura del personaggio, tuttavia, non dovrà ingannare: questa storia vera è in grado di colpire al pari di un fantasioso intreccio di un’indimenticabile opera letteraria.
Orologio del “Fortino”: il furto e la sostituzione
Se questa storia fosse racchiusa in un libro, la prima pagina potrebbe facilmente raccontare di un furto. In fondo partì tutto da questo spiacevole evento. Era il 1943 quando l’orologio di Porta Ferdinandea, secondo protagonista di questa vicenda, venne rubato. Nel pieno della Seconda Guerra mondiale, un gruppo di giovani aveva deciso di smontare ed accaparrarsi proprio gli ingranaggi di un oggetto che era già un simbolo del capoluogo etneo.
Ben presto per quei criminali scattò l’arresto ma il recupero di tutti gli ingranaggi risultò impossibile.
Chi abitava la zona del “Fortino”, ad ogni modo, desiderava tornare ad ammirare quell’orologio e spinse affinché l’aggeggio tornasse al proprio posto: la richiesta fu in qualche modo accolta qualche tempo dopo.
Non l’originale ma un nuovo grande orologio venne costruito di sana pianta e, nel 1946, ricominciò a scandire lo scorrere del tempo.
L’arrivo di Orazio Oteri
Nel frattempo una cooperativa di lavoratori agricoli richiese di poter trasformare in propria sede uno stanzino al piano terra di uno degli elementi dell’arco. Il Comune di Catania accettò.
È a questo punto della vicenda che entra in scena Orazio Oteri, che della cooperativa in questione era il custode. Quest’uomo, descritto da Nicolosi come “basso” e “di capelli biondicci”, finì per occupare un bugigattolo collocato a un quarto della salita, ma non da solo: con lui risiedevano in quei due vani la moglie e tre figli.
La cooperativa si sarebbe ben presto sciolta ed il Comune avrebbe concesso ad Oteri di mantenere quella “casa”, ma ad un patto: l’uomo avrebbe dovuto occuparsi dell’orologio. Una mansione, questa, che secondo quanto raccontato Orazio avrebbe svolto con diligenza e passione.
Non solo ogni mattina Oteri correva a caricare e regolare il macchinario, ma si premurava anche di mantenerlo pulito.
Scatta l’accusa
Il custode eseguì queste procedure quotidiane fino all’ultimo mese del 1952, periodo in cui un vigile notò nei pressi dei locali occupati dal custode (in quel momento assente) alcune bombole di gas.
In realtà queste appartenevano ad un amico di Oteri, eppure fu quest’ultimo ad essere ingiustamente colpito dall’accusa di detenzione e, forse, anche vendita abusiva di gas liquido. A nulla valsero le proteste di Orazio: per l’uomo, che per poco non fu anche arrestato, fu disposto lo sfratto.
Quale fu la reazione dei residenti della zona? Secondo quanto raccontato dal giornalista, gli abitanti del quartiere si schierarono a favore di quell’uomo che evidentemente ben conoscevano. La comune difesa, tuttavia, permise soltanto un rinvio dell’esecuzione.
L’orologio smise di rintoccare
Non è difficile credere che Orazio fosse più preoccupato per il futuro dei propri cari che per il proprio. Non sicuro di dove avrebbero trascorso le seguenti, la notte tra il 9 ed il 10 luglio 1954 il custode e i familiari dormirono per l’ultima volta insieme in quel bugigattolo. Poche ore prima l’uomo aveva programmato la carica dell’orologio per le 8 del mattino seguente: aveva ripetuto quel rito un po’ magico numerosissime volte ma non sarebbe più capitato. Il giorno seguente la moglie si accorse che Orazio era morto e probabilmente non per via di una crudele malattia o di un improvviso malore: il decesso sarebbe stato attribuito dai più al forte dispiacere causato da quelle accuse, la diffidenza nei suoi confronti e la paura per l’incerto avvenire.
Orazio Oteri aveva smesso di ricoprire quell’amato ruolo e, il giorno della sua morte, nessuno lo sostituì: l’orologio, non caricato da altri, si fermò. E i più fantasiosi potrebbero facilmente scorgere in questo ultimo inconsueto avvenimento un segno significativo.
Questa storia tutta catanese non è per certo caratterizzata da un lieto fine ma, in fondo, sa anche strappare un timido sorriso a chi ha la pazienza di arrivare fino alla fine.
Il poco noto custode dell’orologio del Fortino morì a soli 33 anni ma poco dopo la moglie partorì per la quarta volta. Alla fine la donna e i quattro figli non vennero sfrattati: rimasero in quel “nido”, pochi metri più giù da quello splendido orologio. Un orologio che, dopo aver appreso di quanto accaduto, in pochi continueranno a guardare senza pensare ad Orazio Oteri.
Di seguito una foto di Vittorio Consoli, arricchita da una breve descrizione, del custode Orazio Oteri (tratta dalla pagina Obiettivo Catania).