In queste settimane, l’inaugurazione di alcune statue raffiguranti delle donne ha ottenuto spazio all’interno dei quotidiani, sui social, nel corso di una trasmissione televisiva. Tuttavia, la conversione di tali cerimonie di svelamento in notizie degne di attenzione si deve a una polemica o ad un vuoto fino a quel momento ignorato.
L’inaugurazione della Spigolatrice di Sapri, in provincia di Salerno, è stata accompagnata dalle critiche nei confronti del suo scultore che ha scelto di mettere in evidenza le forme della donna con un abito “trasparente”. Per tale ragione è stata etichettata da alcune voci come sessista.
Pochi giorni prima era stata la volta dell’installazione del monumento dedicato a Cristina Trivulzio di Belgiojoso. Un bellissimo annuncio ma accompagnato da un’amara precisazione: si tratta della prima statua al femminile tra le ben 121 presenti all’interno della città di Milano.
Ad ogni modo eventi come questi, apparentemente “lontani”, possono facilmente divenire spunti di riflessione sulle condizioni del proprio territorio.
“E a Catania esistono statue femminili?”: è una delle domande che LiveUnict ha scelto di porre a Pina Arena, docente di Lettere, ex co-referente per la Sicilia di Toponomastica femminile e attuale presidente della sezione Catania della Fnism, Federazione nazionale degli insegnanti con cui continua le battaglie per la memoria femminile anche nella toponomastica.
Statue femminili in Italia: i numeri?
Nomi e cognomi, visi e corpi femminili sono una rarità all’interno delle città della Penisola. Ma se è vero che è almeno possibile indicare una percentuale, seppur bassa, di vie e piazze dedicate alle donne, ad oggi non è ancora pensabile quantificare le statue.
“Si pensa che esistano già dei dati, dei numeri, dei censimenti sulle statue: così non è – esordisce così la professoressa Pina Arena – . Questo lavoro è stato fatto per le strade italiane intitolate alle donne, le stesse che da quel 4% (grazie anche ad un’azione di battaglia e sensibilizzazione nelle scuole e pressione presso le amministrazioni) hanno raggiunto il 6%. Ma le statue sono fuori da questo censimento sistematico e questo perché non ne esistono nelle città italiane. O meglio le statue sono davvero poche e presentano le stesse caratteristiche della toponomastica”.
Come indicato dalla docente, le poche donne incluse nei percorsi toponomastici o a cui sono dedicate delle statue sono generalmente figure allegoriche, personaggi del Mito o figure forti come quelle di Sante, madonne e regine.
Statue di regine, Sante, donne del Mito: questa memoria basta?
“Si tratta di donne che stanno in un sistema di potere maschile: basti pensare che la regina solitamente non è titolare del regno ma consorte del re – precisa Pina Arena – . Le sante sono state spesso filosofe, donne di pensiero. Tuttavia, se sono onorate con intitolazioni è perché dietro c’è la grande Chiesa che ha voluto riconoscere loro uno spazio ed il ruolo di figura significativa, da valorizzare e suggerire come modello. È una donna, sì, ma che rappresenta quel sistema di potere, quel mondo”.
E le donne del Mito, scelte più di frequente di quelle in carne ed ossa per opere presenti nei Centri italiani? Spesso, a detta della professoressa, queste sono “portatrici di storie di violenza”.
“Dietro le vicende mitiche, si cela sempre un racconto patriarcale in cui una donna patisce, subisce la volontà, il desiderio e il disegno di mondo pensato dall’uomo – spiega ancora la professoressa Arena – . Un esempio è quello della fanciulla che viene portata via dall’uomo possente o dal dio potente (come nel caso del Ratto di Proserpina). E spesso, come faccio notare ai miei alunni, i verbi utilizzati in questi racconti sono verbi da oggetto”.
Catania come il resto d’Europa
Le stesse informazioni emerse tratteggiando la situazione nazionale valgono anche per il capoluogo etneo. Analoghe, d’altronde, sono le condizioni.
“Catania non è indietro perché le città sono tutte indietro – specifica la docente – . Catania è in linea con l’Italia e l’Italia è in linea con altri Paesi d’Europa”.
La docente racconta di aver chiesto ad alcuni colleghi provenienti da altre parti d’Europa, in occasione del XIX Campus europeo, se nelle loro città esistessero statue di donne.
“Alcuni hanno provato stupore per la mia domanda – ammette la professoressa – , altri si sono fermati a pensare e a raccogliere informazioni. D’altronde reazioni simili abbiamo riscontrato quando ci siamo fermate a chiedere, in via Etnea, il nome di un’artista o una scienziata donna. Ci si doveva pensare. Il passo alla statua è conseguente.
Il silenzio o una risposta, vuota ma significativa, come ‘Ma sai che non ho mai riflettuto su questo’ sono dovuti al fatto che non vediamo queste raffigurazioni e, di conseguenza, niente ci suggerisce che una donna meriti memoria o riconoscimento di valore – continua Pina Arena – . Il problema è sempre questo: il disconoscimento e l’assenza di racconto del valore delle donne. Il valore della donna non è entrato nell’immaginario collettivo”.
Statuaria femminile nel capoluogo etneo
Con un po’ di attenzione, certo, anche a Catania è possibile scovare qualche lineamento femminile ma questi appartengono a donne che non hanno realmente vissuto.
“A piazza Borgo c’è la statua dedicata a Cerere – ricorda Pina Arena – . E se ci spostiamo presso la zona della Stazione scoviamo la fontana del Ratto di Proserpina. Ma è altro: sono rappresentati momenti o personaggi del Mito”.
La Villa Bellini, poi, “accoglie” un viale degli “Uomini illustri”. Questo sorge sul lato ovest del giardino cittadino ed include diversi busti di celebri personaggi della storia italiana e catanese. Ma basta da solo?
“Tante si sono chieste perché non esista anche un viale ‘delle Donne illustri’ – racconta l’insegnante – . Eppure quelle catanesi sono tante. Inoltre le prima statue sul lato della villa che si affaccia su via Etnea sono figure femminili, ma pur sempre simboliche. Ritengo che un viale delle ‘Donne illustri’ sarebbe un giusto corrispettivo che Catania dovrebbe avere”.
Dopo aver finito di illustrare questo itinerario tra “i monumenti rosa” di Catania, purtroppo breve e alquanto povero, la docente cita Andreana Sardo, la salvatrice della biblioteca regionale di Catania da un attacco borbonico risalente al 1849.
“Abbiamo intrapreso una battaglia volta a dedicarle una strada. Ma anche una statua ci starebbe – confessa la docente – . Attualmente c’è solo una targa nell’atrio del Palazzo Centrale dell’Università di Catania ma con scritto che questa donna si era distinta per il suo ‘virile coraggio’”.
Interesse dei più giovani e conseguenze dell’assenza di racconto femminile
Resta da chiedersi se anche le più giovani ed i più giovani abitanti della città leggano le parole da cambiare, notino la ridotta visibilità delle donne nello spazio pubblico, manifestino il proprio dissenso di fronte ad evidenti disuguaglianze.
“Si, c’è un’attenzione tra i più giovani ma questa va sollecitata – precisa l’insegnante – . E questo perché le nostre menti sono guidate da una cultura patriarcale che ci ha spinti a leggere il mondo con occhi maschili.
Nei libri si parla dell’uomo primitivo, della Storia dei Greci o dei Romani. Ma davvero solo gli uomini hanno fatto la Storia? E le donne dove erano? Spazio ridotto, poi, è riservato loro anche nella Storia della Letteratura. Il vuoto di presenza femminile nella Storia ufficiale e pubblica va rimarcato, fatto notare. Altrimenti è un vuoto ‘invisibile’ di cui non ci si accorge perché ‘è così ed è sempre stato così’”.
Anche in queste ultime settimane gli italiani hanno appreso dell’uccisione di numerose donne, per mano di uomini. Ma quotidianamente si ascolta e si legge anche di madri, compagne, sorelle minacciate, picchiate e perseguitate: realtà che, secondo la professoressa Arena, affonderebbero radici anche nel silenzio riservato più in generale alle donne.
“Nei nostri percorsi sulla prevenzione della violenza sulle donne, teniamo a sottolineare come la violenza sia figlia di questa assenza di parola e di racconto femminile – continua – . Ci dicono ‘Stai zitta’ perché siamo sempre state zitte”.
I passi da compiere
Di fronte alla mancanza di numeri e alla quasi totale assenza di intitolazioni a donne che hanno fornito un prezioso contributo in qualsiasi ambito, bisognerà ammettere che “c’è ancora tanto da fare”.
“Penso che la scuola debba e possa avere una parte importante perché è questione culturale – sostiene Pina Arena – . Le nuove generazioni che aprono gli occhi devono avere una parte fondamentale”.
Ma la statua di Cristina Trivulzio di Belgiojoso rappresenta un primo passo in avanti: da qui si è partiti, e con questa si conclude il dialogo con la docente Pina Arena.
“Si è tanto parlato della statua dedicata a Milano a Cristina Trivulzio di Belgiojoso, eroina del Risorgimento ma, anche in questo caso, fanciulla di condizione agiata. Avrebbe potuto fare quel che ha fatto se non avesse avuto questo privilegio di nascita? E le altre?
Nonostante ciò, certo è che attraversare ogni giorno la piazza in cui è stata collocata questa statua spinge ad interrogarsi, a rileggere la Storia, a riconoscere un valore – conclude la professoressa Arena – . Secondo me, basta cominciare ad aprire uno sguardo nuovo per far sì che queste diventino vere battaglie di educazione e parità”.