La pandemia ha costruito distanze di ogni genere, ampliato divari e creato contraddizioni. Dopo mesi all’insegna di lockdown e misure restrittive, la maggior parte ai cittadini guarda ormai alla propria abitazione come ad una prigione da cui fuggire con qualsiasi pretesto.
La maggior parte, non tutti. Vivono, magari a poca distanza, diverse donne ed altrettanti uomini la cui vera ambizione non è l’evasione, bensì le quattro mura. A Catania, questi senzatetto vengono ascoltati dai volontari della giovanissima organizzazione no-profit Arbor-Unione per gli Invisibili, nata con lo scopo di fornire loro assistenza concreta. Volontari, questi, ascoltati (a loro volta) da LiveUnict.
La vostra associazione è conosciuta come Arbor-Unione per gli Invisibili: che storia cela questo nome?
“Il nome dell’associazione, ‘Arbor’, mi è venuto in mente una sera, di ritorno dall’unità di strada: guardavo le strade deserte e mi colpì un viale con degli alberi, alcuni particolarmente rigogliosi. Erano bellissimi – racconta Anna Puci, fondatrice dell’associazione – . La sensazione di conforto e protezione che mi lasciavano era piacevole.
Ho pensato, allora, che quello che eravamo e volevamo essere assomigliava ad un albero: radici profonde e salde che rappresentano il nostro territorio (sperando di riuscire ad andare sempre più a fondo); foglie, rami e tronco che riparano dal caldo e dalla pioggia, in un abbraccio protettivo, così come la casa fisica e metaforica che vorremmo dare e frutti, come tutto ciò che di bello raccogliamo e riusciamo e dare”.
Perché un’organizzazione come Arbor è importante in una città come Catania?
“Sicuramente, al di là dell’aiuto concreto che viene dato alle persone che vivono in strada, ciò che ci auspichiamo è quello di poter stimolare la cultura della solidarietà: che questa possa, quindi, essere accolta con favore dalla comunità catanese e al contempo essere un esempio da imitare e replicare – ha dichiarato Luigi Coccimiglio, tra i primi volontari dell’associazione Arbor – . Argomenti delicati come quello dei senzatetto non sono sempre trattati con favore dall’opinione pubblica o dalla politica, per cui è facile che in questo nostro tempo se ne parli attraverso discorsi superficiali e gretti, che non fanno altro che alimentare lo stigma sociale verso gli ultimi.
È evidente che le istituzioni, soprattutto locali, non facciano il necessario per ‘rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale’, così come suggerirebbe la Costituzione. Finisce così che a farsi carico dei disagi sociali sono associazioni di cittadini.
In strada ci finiscono tutti – ha precisato ancora Luigi – . Bianchi e neri; italiani, comunitari ed extra-comunitari; uomini e donne; giovani, adulti e anziani. La solidarietà è un valore, che attraversa la società italiana sia nella sua cultura che tradizione. Per poter ricevere solidarietà bisogna anche darla. È qui che risiede l’importanza di organizzazioni come Arbor”.
A vostro parere, il Covid-19 ha influito sul numero dei più soli, fragili ed indigenti? Se sì, in che misura?
“Difficile dire con esattezza se il numero dei più bisognosi sia aumentato – ha ammesso, ancora, Luigi Coccimiglio – . Quel che è certo è che l’elenco dei problemi riscontrati e delle storie raccontate è immenso.
Ci sono problemi con i sussidi assistenziali: la residenza è spesso un requisito d’accesso. Molte famiglie della periferia di Catania richiedevano “buste della spesa”, per via dei figli e altre spese a carico. I senzatetto, in particolare, hanno subito complicazioni sul piano igienico-sanitario, per via dell’interruzione alcuni servizi che prima venivano erogati senza particolari problemi.
La causa principale dello stato di indigenza è stata, però, la perdita del lavoro e l’impossibilità di pagare un alloggio. A subire le conseguenze peggiori sono stati tantissimi lavoratori e lavoratrici, già sfruttati e vulnerabili. Diverse badanti hanno perso vitto e alloggio per la morte della persona che accudivano.
Un signore bulgaro raccontava, ad esempio, di essere arrivato in Sicilia per lavorare nel settore agricolo ma, scoppiata la pandemia, è rimasto bloccato a Catania – ha concluso il volontario – e per la prima volta in vita sua è stato costretto a dormire due settimane per strada: aveva anche una bici che ovviamente gli è stata rubata”.
Di cosa hanno davvero e più bisogno le persone che incontrate?
“Penserei, di primo acchito, alle cose materiali come i beni di prima necessità – ha dichiarato Annalisa Sanfilippo, altra volontaria e tra i promotori dell’iniziativa – ma vorrei far emergere un altro aspetto che, a mio avviso, è un vero e proprio paradosso: di giorno nemmeno ti accorgi che esistano, sono invisibili sia nella forma che nella sostanza. La notte, poi, quando ognuno ritorna nella propria ‘casa’, essi diventano volutamente invisibili perché non li si vuol vedere, invisibili solo nella forma. Essi rappresentano quel degrado che, coloro che giudicano, concorrono ad aggravare.
È capitato che gente rabbiosa alzasse la voce solo per inveire contro loro (e contro noi volontari) per le condizioni deprimenti in cui dormono – ha continuato Annalisa Sanfilippo – . Sarebbe il caso di riformulare il detto con: non c’è peggior cieco di chi non vuol vedere. Essere ‘visti’, dunque, solo questo“.
Che tipo di reazioni riscontrate e che tipo di rapporto si crea con i soggetti aiutati?
“Dipende. Come in qualsiasi faccenda umana si attiva lo spettro delle emozioni e questo vale sia per chi aiuta, sia per chi viene aiutato. Le reazioni sono variegate, determinate dal singolo in relazione all’altro – ha continuato Matteo Mavica, altro volontario – . Così si creano legami diversi, più o meno aperti, più o meno profondi, il cui filo conduttore è la gratitudine di chi riceve, che cresce giorno per giorno.
Chi si presta ad aiutare, di contro, riceve molto di più: un’apertura sul mondo e la sensazione che le persone sono e saranno sempre persone, al di là della retorica spicciola – ha concluso l’uomo – . Abbattuto il muro di cartone che sta tra chi per strada ci cammina e chi per strada ci dorme, i rapporti possono sorprendere per la semplicità con cui nascono“.
La pandemia ha reso più complessa la vita di tutti e, di fronte alle proprie difficoltà, molti potrebbero considerare necessario accantonare l’altruismo. Riscontrate un più diffuso disinteresse verso il prossimo? In che misura è importante preservare l’empatia e rivolgere comunque uno sguardo verso l’altro?
“Credo semplicemente che vi siano categorie di persone con una certa propensione verso il prossimo che, anche se non hanno mai operato nel sociale, colgono l’occasione o il momento giusto per farlo – ha precisato, infine, Annalisa Sanfilippo – . Altre, invece, meno.
Inoltre, per quanto il Covid abbia drammaticamente peggiorato molte situazioni, non è stata questa la miccia che ha innescato un eventuale accantonamento delle necessità altrui in favore delle proprie. Infatti, amici e conoscenti si sono tutti prodigati per aiutarci con una voglia e un’empatia meravigliosamente spiazzante, che è stata per noi un’esplosione di gioia, un’infusione di coraggio e speranza, nonché una grande spinta per non mollare mai“.