Le ultime generazioni nate in Europa sono abituate a spostarsi tra uno Stato all’altro, senza dogane e barriere che ne limitino la libertà di movimento. Oggi, gli stessi Paesi dell’UE chiudono le frontiere per tutelare la sicurezza dei loro cittadini e all’improvviso quei confini sulla mappa che ormai si era abituati a ignorare acquisiscono tutto d’un tratto la loro più vivida concretezza. Chiusi ad affrontare ognuno le proprie emergenze, gli Stati membri litigano sulle misure comuni da adottare e sembra a volte di trovarsi di fronte a visioni opposte e inconciliabili. Dall’altro lato, si moltiplicano gli appelli alla solidarietà e all’unione, ma anche gli strumenti di aiuto concreto, come il recente piano “Sure” da 100 miliardi per tutelare i lavoratori a rischio licenziamento.
Queste due alternative sembrano anticipare, come una profezia, il possibile futuro dell’UE per il post-coronavirus. Tre gli scenari più plausibili che indica la professoressa Francesca Longo, docente di Politica dell’Unione Europea presso il dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Catania: una Europa a più velocità, una trasformazione in senso politico dell’Unione e, infine, la dissoluzione della stessa. Prima di trattarli, tuttavia, è il caso di fare chiarezza su che cosa l’Europa ha fatto finora e che cosa potrebbe fare.
Coronabond: uno strumento divisivo
Da diversi giorni ormai si parla dei cosiddetti coronabond, una misura di finanziamento “solidale”, che consentirebbe di emettere titoli di debito garantiti da tutti i Paesi dell’area. La misura però è diventata subito terreno di scontro tra Paesi come la Germania e i Paesi Bassi, coi conti pubblici a posto, e Paesi più indebitati, come l’Italia o la Spagna. “I coronabond sono divisivi perché sono uno strumento nuovo – spiega al riguardo la professoressa Longo –, che si aggiungerebbe ad altri due già adottati, la sospensione del patto di stabilità e l’adozione del meccanismo appena proposto alla commissione europea per mitigare gli effetti della disoccupazione.
Un terzo strumento che permetterebbe agli Stati di finanziare ulteriore debito nazionale in deroga ai vincoli di bilancio. Nonostante la situazione d’emergenza sia mondiale, alcuni Stati continuano a considerare i vincoli di bilancio e la sanità dei bilanci ancora molto importanti per la tenuta dell’area euro e ritengono che a fronte dell’emergenza gli strumenti adottati non devono permettere agli stati membri di aprire la strada per poi avere debiti pubblici che non si potranno più recuperare”.
“Sure”, il Piano Marshall europeo per rilanciare l’Unione
Risale ad appena due giorni fa una prima, forte risposta comune alla crisi economica generata dal coronavirus. La presidente della Commissione Europea Ursula Von der Leyen, scusandosi pubblicamente con l’Italia, in una lettera aperta ha lanciato il piano “Sure“, una sorta di cassa d’integrazione europea da 100 miliardi che tutelerà chi rischia di perdere il posto di lavoro a causa dell’emergenza. Il “Sure” è stato subito paragonato dai media al Piano Marshall, accostando così la crisi del secondo dopoguerra a quella causata dal COVID-19. Allora, tuttavia, l’Europa era divisa e lacerata dal conflitto, mentre oggi le cose stanno molto diversamente.
“Non si possono paragonare gli strumenti che l’UE mette in campo con quelli del Piano Marshall – ha dichiarato la docente al riguardo -. Una cosa, però, può essere paragonata rispetto al “Sure”. Il Piano Marshall fu il vero inizio della integrazione europea. Sono stati dei fondi dati dagli Stati Uniti all’Europa distrutta dalla guerra, ma a patto che l’Europa gestisse questi fondi in maniera coordinata. Quello fu il lancio, l’incentivo da cui poi si sviluppò tutto il processo d’integrazione che stiamo vivendo. Anche in questo senso, questo nuovo programma potrebbe rilanciare l’integrazione europea. Il piano, concepito per proteggere i posti di lavoro dagli effetti dell’economia bloccata, e che erogherà prestiti fino a 100 miliardi di euro, potrebbe rappresentare uno strumento non solo economico, ma anche simbolico e sociale per rilanciare l’immagine dell’Unione Europea che a torto o a ragione in queste ultime crisi, anche quella finanziaria e dell’emergenza sbarchi ha sofferto nei confronti dei cittadini europei”.
Accanto a queste misure, in realtà, l’Europa ha già adottato, sin dal 13 marzo, misure che hanno aiutato in modo collaterale gli Stati membri a fronteggiare la crisi. Oltre alla già citata sospensione del patto di stabilità, “per esempio, e questo è un elemento molto importante che è stato sottovalutato dalla stampa, ha allentato il divieto degli aiuti di Stato alle aziende – aggiunge la professoressa -. Il trattato vieta di fornire aiuti pubblici alle aziende, perché si configurano come processi di distorsione dei principi di libera concorrenza. Questo divieto è stato fortemente allentato e gli Stati stanno fornendo aiuti alle imprese e alle aziende”. Naturalmente, però, l’UE può muoversi solo dove i trattati glielo consentono. Per questo la prof. Longo fa un preciso distinguo rispetto alle competenze dell’Unione e dei vari Paesi che la compongono: “Molte delle accuse rivolte all’UE andrebbero rivolte in realtà agli Stati membri dell’Unione”.
Coronavirus e Unione Europea: le ragioni del ritardo
Nonostante ciò, resta il fatto che il “Sure” è arrivato solo due giorni fa, mentre l’Italia è in lockdown dagli inizi di marzo. Un ritardo nella gestione della crisi che a molti è sembrato colpevole. “All’inizio dello scoppio di questa pandemia l’UE non ha percepito come rilevante a livello globale il problema e quindi gli Stati dell’UE – spiega la docente del dipartimento di Scienze Politiche -, più che l’Unione stessa, ritenevano che fosse un problema cinese, poi italiano. Secondo me, il ritardo è motivato dal fatto che non si era ben capita la dimensione non solo regionale (regione europea) ma globale del problema. Quando questa percezione si è avuta e si è compreso che non era un problema circoscritto, devo dire che l’UE ha messo in campo quelle poche armi che ha per operare in questo specifico settore”.
Bisogna ricordare, infatti, che l’Unione Europea non ha competenze riguardanti la politica sanitaria. “Questo spiega perché gli Stati membri hanno gestito con velocità differenti e misure fortemente differenziate l’emergenza dal punto di vista sanitario – continua -. Gli altri Stati hanno adottato un timing differente rispetto all’Italia e questo avrà degli effetti sulla continuazione della gestione del problema, perché il timing differente nelle misure di precauzione interne definirà poi anche un timing differente nella curva dei contagi”. Di conseguenza, aggiunge al riguardo, tali differenze potrebbero influire fortemente sulla mobilità dei Paesi.
A questo si sommano le differenze interne agli stessi organi dell’Unione. Laddove alcune istituzioni completamente controllate dagli Stati, come il Consiglio dei Ministri e il Consiglio Europeo, non hanno agito, Commissione Europea e BCE si sono già mosse. Quest’ultima, per esempio, ha già garantito 750 miliardi di euro per affrontare la pandemia, con cui comprerà titoli di stato. “È vero che l’Europa si è mossa con ritardo, ma lo ha fatto. Gli Stati, invece, stanno continuando a gestire in maniera molto disordinata le emergenze non solo sanitarie ma anche economico-sociali“.
Tre scenari per il futuro
Ormai è evidente a tutti che, come ha dichiarato il premier Giuseppe Conte alla TV tedesca, stiamo scrivendo una pagina di storia. I governi dei Paesi membri e le istituzioni dell’Unione Europea hanno una responsabilità enorme di fronte a 500 milioni di cittadini. Le azioni che verranno intraprese da qui ai prossimi mesi potrebbero modificare del tutto la concezione del continente comune che si ha ora.
Tre gli scenari che si potranno configurare nel medio termine secondo la professoressa Longo: “Il primo è uno dei classici scenari che si immaginano per l’UE, cioè l’Unione a più velocità. Un’Unione che si dividerà in sottogruppi e sottoalleanze che continueranno a lavorare insieme ma che per alcuni aspetti intensificheranno la loro cooperazione in maniera non uguale. Si realizzeranno, insomma, cooperazioni rafforzate, delle formule di integrazione tra gruppi di stati membri che non comprenderanno tutti gli Stati ma solo alcuni.
Il secondo sarà un’Unione politica vera e propria. Questa è una crisi che influirà non solo sugli aspetti sanitari ed economici ma sul nostro modo di vivere. Noi tutti usciremo profondamente cambiati da questa esperienza e quindi la nostra storia sarà modificata. Siccome noi facciamo la storia ogni giorno, anche l’UE da questa emergenza sarà cambiata. Allora, lo scenario sarà quello di un’Unione politica perché ci si renderà conto che un’unione economica senza un’unione politica è un’unione più debole, che più difficilmente in questi momenti affronta le emergenze.
Terzo scenario è la scomparsa dell’UE, quella che non ci auguriamo soprattutto noi che abbiamo sempre beneficiato degli aiuti dell’Unione. La scomparsa dell’Unione europea in questo senso per l’Italia sarebbe una iattura, perché l’Italia ha sempre contribuito in maniera importante nell’UE ma ha sempre beneficiato fortemente degli aiuti che l’Unione ha messo in campo durante i momenti più difficili”.
Ai posteri, come direbbe Manzoni, l’ardua sentenza.