Con l’accertamento dei primi casi di Coronavirus, o sarebbe meglio dire COVID-19, nella città di Palermo, continua a diffondersi il timore che il virus possa raggiungere anche Catania. Se ciò si dovesse verificare, la città etnea sarebbe pronta a fronteggiare un’eventuale epidemia?
Le misure preventive di certo non mancano: tra le indicazioni del Ministero della Salute, l’istituzione di un’unità d’emergenza dell’ASP e le disposizioni sul rinforzo dei controlli presso l’aeroporto Fontanarossa, sembra che si stia facendo davvero il possibile per evitare che il problema coinvolga la città. Ma come si vive la situazione di allerta negli ospedali, dove gli addetti ai lavori si trovano ad analizzare quotidianamente casi sospetti?
Ha risposto ai nostri microfoni un infermiere dell’ospedale Garibaldi di Catania: “Ci hanno fornito le mascherine, sono andate a ruba anche qui e probabilmente ora ce le riforniranno. Certo, un po’ di paura c’è anche tra noi operatori sanitari.” D’altronde gli ospedali sono sempre parecchio affollati e si corre il rischio che alcuni si rechino al Pronto Soccorso presentando i sintomi dell’infezione, nonostante le raccomandazioni del Ministero. Si ricorda, infatti, di non recarsi presso le strutture sanitarie nel caso in cui si sospetti di essere infetti. Si raccomanda di telefonare al 1500, 112 o 118, di non uscire di casa ed evitare ogni contatto con altri individui, seguendo le indicazioni del personale medico.
Per quanto riguarda eventuali casi sospetti o segnalazioni “se ne sta occupando il pronto soccorso – continua l’infermiere –. Purtroppo per l’accertamento di un caso la strada è lunga: occorre fare l’esame del tampone, inviarlo al laboratorio e all’infettivologo, poi al Policlinico che in questo momento è il referente, infine si richiede la conferma ufficiale allo Spallanzani di Roma. C’è ancora un po’ di confusione, ma gli ospedali di Catania sono dotati di strutture di biocontenimento da 2-4 posti nel caso in cui si dovessero accertare dei casi. Sono sufficienti a contenere nel migliore dei modi un po’ di infetti nel caso in cui se ne dovessero accertare; inoltre, il personale del Pronto Soccorso è stato formato sin dall’inizio della diffusione del COVID-19. Negli altri reparti è obbligatorio l’uso delle mascherine, per precauzione, anche per coloro che non saranno addetti alla cura di contagiati o sospetti“.
Nel caso di pazienti asintomatici è sufficiente la quarantena domiciliare con sorveglianza attiva per 14 giorni, come indicato in una delle circolari del Ministero della Salute sul trattamento dei contagiati. Solo in casi di estrema gravità e diffusione della malattia si potrebbe riscontrare una carenza di strutture apposite per l’ospedalizzazione dei pazienti infetti. Il trattamento consiste in una “terapia di supporto” mirata a curare i sintomi della malattia così da favorire la guarigione (fornendo ad esempio supporto respiratorio).
Vi raccontiamo di una normale giornata all’interno di uno studio medico del catanese dall’arrivo del Coronavirus in Italia: la sala d’attesa divisa tra le paranoie di chi non riesce più a stare in un luogo chiuso con altre persone senza la mascherina e il menefreghismo di chi non si fa problemi a starnutire senza portare il gomito al viso (esatto, il gomito, non le mani che comporterebbero una diffusione persino maggiore del virus). Come in ogni situazione, in medio stat virtus.
È importante infine fare chiarezza: il virus ha un basso tasso di mortalità, basti pensare che su circa 325 casi in Italia sono deceduti in 11, perciò la popolazione non dovrebbe allarmarsi; dall’altra parte, non bisogna sminuire la vicenda e ognuno deve fare la propria parte prendendo le dovute precauzioni poiché, seppur di solito non letale per ragazzi e adulti in normali conduzioni di salute, l’eventuale diffusione a macchia d’olio del morbo metterebbe a rischio le vite di molte persone già cagionevoli, anziane o in età infantile. La “pericolosità” del nuovo Covid-19 deriva non tanto dalla sua aggressività, quanto piuttosto dalle poche informazioni che abbiamo al riguardo, essendo la prima volta che questo ceppo del Coronavirus viene analizzato. Sappiamo inoltre che il vaccino richiede lunghe sperimentazioni e sarà pronto tra non meno di 12 mesi.
Oltre alle difficoltà respiratorie, la febbre è uno dei sintomi principali (anche se non sempre il primo), che ha permesso di individuare la maggior parte dei casi. Questa è uno strumento di difesa del corpo che, innalzando la temperatura permette sia di uccidere germi e virus, spesso termosensibili, sia di stimolare le difese immunitarie. L’arrivo di temperature più miti potrebbe infatti rallentare la moltiplicazione virale: “Per ora speriamo che il virus sia sensibile al caldo; – conclude il nostro intervistato – con l’aumento delle temperature, quindi già con l’arrivo di maggio, potrebbe fermarsi o comunque indebolirsi“.