Chi non conosce il leggendario ed eroico personaggio di re Artù? Le sue gesta straordinarie sono scolpite nel mito. La sua magica figura è stata ripresa dalla letteratura e dal cinema, al punto da intessere le trame dell’immaginario umano. Bambini e adulti l’hanno immaginato brandire una spada prodigiosa estratta da una roccia, circondarsi di cavalieri fedeli e valorosi e proteggere il regno di Camelot dagli intrusi. Egli è, tra tutti, uno dei personaggi simbolo della Gran Bretagna. Esiste, però, anche un Artù “nostrano”, quello raccontato dalla leggenda catanese del cavallo del vescovo. Quest’ultima colloca la reggia del fantomatico sovrano a Catania e, addirittura, all’interno del suo imponente Vulcano.
Il cavallo del vescovo: la fuga sull’Etna e la disperazione dello scudiero
Tra il 1194 e il 1197 il terribile e violento imperatore svevo Enrico VI regnò in Sicilia imponendo il pugno di ferro e il suo atteggiamento da monarca intransigente. Non a caso decise di nominare una serie di vescovi e dignitari, fedelissimi e suoi pari per crudeltà, che mantenessero l’ordine e il terrore sull’Isola. Tra questi vi era anche il vescovo di Catania, uomo sanguinario e temibile, affezionatissimo solo al suo cavallo.
Un giorno il vescovo affidò il suo prezioso destriero a uno scudiero e due palafrenieri perché questi lo portassero a passeggiare nei sentieri alle pendici dell’Etna. Il cavallo del vescovo, però, s’imbizzarrì improvvisamente, sfuggendo alla cura dei suoi custodi. L’animale cominciò a correre senza freno verso la cima del Vulcano, inseguito soltanto dallo scudiero.
I due palafrenieri, stanchi per la corsa, avevano, infatti, deciso di rinunciare alla ricerca e ritornare subito in città. Inutile dire che furono entrambi puniti e decapitati. Lo scudiero raggiunse, invece, il cavallo del vescovo fino alla cima del cratere centrale, ma subito il destriero con un balzo si gettò dentro il Vulcano.
Il cavallo del vescovo e l’aiuto di Re Artù
La disperazione del povero scudiero fu profonda, quando realizzò quale sarebbe stata la sua sorte se fosse tornato al palazzo del vescovo senza il cavallo. Mentre piangeva, tuttavia, la voce di un uomo in là con gli anni lo rassicurò. Gli consigliò di non lasciarsi andare allo sconforto, poiché lo avrebbe condotto al cavallo che cercava. Lo scudiero acconsentì a seguire l’anziano uomo attraverso un misterioso passaggio, il quale dalla cima fumosa dell’Etna portava a una sfarzosa e ricca sala.
Al centro della stanza, tra cristalli e lampadari scintillanti, lo scudiero scorse un imponente trono dorato. Si rese conto, così, di trovarsi al cospetto del leggendario re Artù, che, secondo diversi miti inglesi, ancora oggi vivrebbe nella sua reggia all’interno del Mongibello. Il sovrano mostrò al giovane che sul fondo della sala si trovava anche il cavallo a lungo inseguito. Gli ordinò, quindi, di ritornare al palazzo e riferire al sanguinario vescovo un messaggio.
“Torna dal tuo vescovo– disse Artù- e digli che sei stato alla mia corte. Riferiscili che la sua crudeltà e la sua prepotenza hanno stancato persino la pazienza di Dio, che presto lo punirà per mio mezzo. Se vuole il cavallo che venga a riprenderlo lui stesso, salendo fino a qui. Se non lo farà entro quattordici giorni, al quindicesimo egli morirà”. Pronunciate queste parole, lo congedò facendogli dono di un mantello e di una borsa piena di denaro.
La profezia di Artù e la fine della tirannia
Lo scudiero non poté che credere inevitabilmente di aver sognato. Tuttavia il mantello e la borsa nelle sue mani gli dimostravano che tutto era realmente accaduto. Decise, quindi, di ritornare a Catania e riferire il messaggio di Artù. Il vescovo, come c’era da aspettarsi, non volle credere alla storia raccontata dallo scudiero, e anzi lo accusò di avere venduto il cavallo per denaro. Insidiato, però, da un sottile dubbio, non ordinò la sua decapitazione ma si limitò a farlo imprigionare.
Durante i quattordici giorni il vescovo tentò in ogni modo di interrogare lo scudiero, ma ne ricavò sempre la stessa versione. Nel frattempo continuava a inviare sull’Etna alla ricerca del cavallo i suoi servitori, ma nessuno di essi faceva ritorno. Giunto il quindicesimo giorno, infine, il vescovo, spazientito, accusò lo scudiero di essere uno stregone e lo condannò al rogo. Nell’esatto momento in cui pronunciò la sentenza, però, cadde a terra morto. La profezia di re Artù si era avverata e Catania era adesso libera da quel crudele vescovo. La vendetta del re si scagliò, infine, anche su Enrico VI, il quale morì a Messina appena trentaduenne.