Un volto noto nello scenario teatrale catanese e italiano è quello di Egle Doria, che ha partecipato al Catania Pride 2019, in qualità di donna, di attrice ma soprattutto di madre della sua piccola Marina, assieme alla compagna Maria Grazia. Una storia romantica quello del loro primo incontro, avvenuto proprio grazie all’arte e allo stesso lavoro di attrice in modo del tutto casuale.“Io e Maria Grazia ci siamo conosciute a teatro – racconta l’attrice -. Una sera ero in scena con “Le serve” di Genet al Teatro del Canovaccio e l’ho trovata tra il pubblico durante i ringraziamenti. Stavo passando un periodo di fragilità, stavo cercando di trovare la mia strada, quando ad un certo punto ho visto quegli occhi brillanti che mi applaudivano. Sentivo i suoi occhi che mi guardavano in un modo che mi faceva dire: ‘Ma che cosa è? ‘.”
Dopo qualche anno, arriva il naturale desiderio di maternità e la coppia decide di intraprendere il lungo e stressante iter per la fecondazione assistita eterologa in Spagna, procedura che in Italia è esclusa per le coppie omosessuali e i single e rimane aperta anche a poche coppie eterosessuali.“In Italia non si può ed è una grande ipocrisia – dichiara Egle -. Si va in quei paesi così vicini a noi che rendono ridicolo tutto questo. Non devo arrivare in America e attraversare l’Oceano, basta un volo. Non è facile: la maternità comporta una predisposizione che debba allontanare lo stress. Non è facile rimanere incinta, se si considera anche questo stress tra cure e voli, quando qui potresti farlo nell’ospedale più vicino. Quando nasce un figlio, dopo tanti tentativi, è un dono di Dio.”
La sua lotta per il riconoscimento legislativo della sua famiglia e contro ogni tipo di pregiudizio è sbarcata anche al teatro: infatti ad aprile è andato in scena Nove, spettacolo scritto da lei stessa e Alberto Orofino in cui ha raccontato la sua storia, interpretando se stessa. “La mia è una scelta personale – spiega l’attrice catanese – ho deciso di sfruttare quel poco di visibilità che ho. Dico poca perché siamo persone che si ammazzano a lavorare di teatro, mi piace definirci proprio ‘lavorattori’, che hanno investito in questa città perché hanno deciso di tornarci e di restarci. Nove è uno spettacolo che racconta proprio la famiglia, partendo dalla mia famiglia di origine, da una famiglia siciliana a metà tra Catania e Palermo, fino alla scelta di creare una mia famiglia. Ma per poterlo essere è stato difficile.”
Nove è stato lo spettacolo che ha mostrato Egle Doria così com’è, senza alcun confine tra attore e personaggio interpretato. Lavorare a teatro e stare in continuo contatto con l’arte ha facilitato tanto il suo percorso di riconoscimento e accettazione nei confronti di se stessa, stimolandola a condividere la propria vita privata anche con i colleghi di camerino: “Per tanti anni non ho mai parlato del mio orientamento sessuale – confessa ai microfoni di Liveunict -. Ho avuto bisogno anche io di trovare la mia strada in questo senso, di tempo. Nel momento in cui ho deciso di vivere la mia vita, ho deciso di espormi di più anche grazie all’incontro con Maria Grazia.
Quando ho deciso di parlarne, avevo più paura io che di quanto non ne avessero gli altri che mi stavano accanto e con i quali lavoravo. Adesso sto meglio, fortunatamente vivo in un ambiente in cui sotto questo punto di vista è molto rassicurante, perché nell’ambiente artistico c’è molta più libertà mentale. Ci sono degli ambienti lavorativi in cui questa scelta viene ostruita di più, ma fortunatamente non è stato il mio caso.” E sulle discriminazioni in ambito lavorativo aggiunge: “Certo, qualche battutina l’ho ricevuta anche io e la ricevo tutt’ora, soprattutto quando sei una donna, una bella donna e allora qualcuno si chiede ‘Ma picchi chista non ci sta?’.“
La battaglia di Egle per il riconoscimento è la battaglia di molti. In un periodo in cui la politica è nemica di una grande fetta di minoranza delle comunità LGBTQI+ , scendere in piazza numerosi con il motto “Vogliamo tutto” è l’unica alternativa alla lotta quotidiana contro gli stereotipi, odio e discriminazione. C’è molto rancore, poca pazienza in un’attesa che si protrae ormai da troppi anni, in cui persone, famiglie e bambini continuano a non essere riconosciuti e a non essere tutelati dalla legge. Egle ha deciso di metterci la faccia e camminare con altre famiglie arcobaleno durante il corteo, con le quali condivide le loro stesse problematiche.
“Famiglia arcobaleno, associazione di cui ne facciamo parte, sta lottando in Italia per il diritto dei nostri figli, affinché vengano considerati figli come tutti gli altri- afferma Egle, ribadendo il suo impegno in prima persona nell’associazionismo per i diritti LGBTQI+. In tante occasioni si sottovaluta che i nostri sono figli fortemente desiderati e voluti. Spesso in tante famiglie si nasce per caso, perché è “biologicamente naturale” nascere. Nel nostro caso c’è una grande volontà, bisogna affrontare con coraggio tutta una serie di tabù, che partono proprio all’interno delle stesse famiglie. Di fronte a un bambino, spesso, tutti si rendono assolutamente disponibili, perché quando nasce un bambino anche le famiglie più difficili di fronte alla nuova vita si dimostrano amorevoli. Questo, però, non nasconde quanto bisogna lottare per fare in modo che questa venga ufficializzata come famiglia, soprattutto davanti agli occhi del proprio parentato.
Famiglie arcobaleno nasce come associazione anche per testimoniare, ma soprattutto perché c’è una grande battaglia legale fatta quotidianamente all’interno, che si occupa di discutere determinate questioni delicatissime. Noi non siamo diversi, nessuno è diverso. Non obbligo nessuno ad accettare la mia vita, ma non voglio che nessuno mi metta i bastoni tra le ruote. Noi stiamo lottando affinché quella che viene definita ‘l’altra mamma’ possa essere mamma a tutti gli effetti anche sugli atti.”