Secondo l’ultimo rapporto Ocse-Pisa, “Equità nell’istruzione: abbattere le barriere alla mobilità sociale”, il divario tra studenti ricchi e poveri è sempre più profondo. Il rapporto mette a confronto 70 nazioni, analizzando in che modo esse prestino attenzione alle esigenze degli studenti economicamente più svantaggiati e se offrono le possibilità di progredire nella scala sociale grazie all’istruzione.
A differenza di Germania e Stati Uniti in cui, a seguito di politiche mirate ad aiutare le scuole più svantaggiate, il sistema ha iniziato a funzione meglio, in Italia, da circa 20 anni, le competenze che vengono acquisite a scuola sono ancora troppo collegate al contesto socio-economico da cui proviene lo studente.
Nel Rapporto vengono calcolate le differenze di apprendimento di alcune competenze tra studenti con background elevato e i loro coetanei che vivono invece situazioni più svantaggiate. Ad esempio, c’è un divario di oltre due anni nell’apprendimento delle competenze scientifiche tra due studenti di 15 anni di opposte estrazioni sociali. Risulta inoltre che solo il 12% degli studenti più svantaggiati riesce ad ottenere gli stessi risultati dei loro coetanei più ricchi.
È da segnalare anche la drastica diminuzione (dall’85% al 64% nel periodo 2003-2015) degli studenti svantaggiati che si sentono a proprio agio nelle strutture scolastiche e chiaramente questo è uno dei fattori più rilevanti che innesca le problematiche legate alla dispersione scolastica.
In Italia, per di più, i giovani che non studiano e non lavorano, i cosiddetti “neet”, sono ben 2,2 milioni.
Proprio dalla scuola, quindi, nasce il divario socio-economico, che poi si riversa nella società, creando un “loop” che solo il governo ha il potere, e il dovere, di interrompere.