Anche nel Mediterraneo c’è rischio tsunami. Questo è quanto risulta dalla prima mappa che analizza i rischi di maremoto in seguito a terremoti realizzata dal progetto europeo TSUMAPS-NEAM coordinato dall’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv).
Le aree che presentano il rischio maggiore sono la Calabria ionica, il Golfo di Taranto, il Salento e la Sicilia Orientale. “In media più del 30% delle coste mappate con il progetto, area Neam di cui l’Italia è solo una piccola parte e tra le più pericolose possono subire uno tsunami con onde più alte di un metro ogni 2500 anni” ha dichiarato Roberto Basili, coordinatore del progetto.
Dalla ricerca risulta che sono tre le aree dove possono scatenarsi terremoti di grande intesità che potrebbero dare luogo a violenti tsunami: si tratta dell’arco ellenico (la zona da Cefalonia a Rodi), l’arco di Cipro che giunge fino al Libano e l’arco Calabro. “Sono eventi rari ma non impossibili e di grande impatto” segnala il sismologo Alessandro Amato.
Le regioni più a rischio sarebbero quindi Sicilia, in particolar modo la zona orientale, Calabria, Puglia e Basilicata. Un rischio minore riguarda invece la Sardegna meridionale e il Mar Ligure a causa delle faglie attive sulla costa nordafricana.
Ma il rischio tsunami nel Mediterraneo non riguarda solo l’Italia: anche Egitto e Libia corrono questo pericolo. Sebbene queste zone non siano interessate da forti fonti sismiche, la probabilità di onde anomale sarebbe più alta in queste aree rispetto al Sud Italia, alla Grecia e alla Turchia.
Data la rarità di questi fenomeni, spesso la popolazione non è a conoscenza dei rischi ad essi correlati. Per questo motivo e soprattutto dopo il maremoto del 2004 nell’Oceano Indiano, la Commissione oceanografica internazionale dell’UNESCO si occupa di coordinare l’attuazione del sistema di allarme rapido per lo tsunami e dal 2017 l’Italia ha attivato il Sistema d’Allertamento nazionale per i Maremoti di origine sismica (SiAM), coordinato dal Dipartimento della Protezione Civile nazionale, con Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (Ispra) e Ingv, al quale aspetta la prima parte dell’allerta e di stima dei rischi per poi passare il messaggio alla Protezione Civile.