Il report della terza e ultima tappa siciliana dell’atipico rapper torinese, andata in scena sabato 11 novembre al Ma.
Nella notte di San Martino, il palco del Ma di Catania ha ospitato il concerto di Willie Peyote, al secolo Guglielmo Bruno, artista torinese affermatosi nel corso degli ultimi anni come astro crescente del panorama musicale nazionale.
Dopo i sold out delle prime tre date, il tour di Willie ha fatto tappa nella città etnea per la presentazione di “Sindrome di Tôret”, il suo nuovo concept album.
Peyote, con band al seguito (saranno in 5 on stage), sale sul palco alle 23:10 circa ed il primo pezzo in scaletta è Avanvera, canzone d’apertura tra l’altro dell’ultimo disco, “Sindrome di Tôret” appunto. Un album che affronta il tema della libertà d’espressione e dei limiti della stessa, in un’epoca in cui la comunicazione è cambiata profondamente a causa della tecnologia.
Un rapido “Buonasera Catania” e con C’hai ragione tu, Interludio e Outfit giusto il “rapper” (virgolettato voluto, perché WP si discosta ampiamente da questo diffuso stereotipo) scalda definitivamente il pubblico nella fredda notte novembrina anticipando uno dei momenti di maggiore interazione dello spettacolo: il sondaggio riguardante l’amore.
Amor sacro o amor profano? Si comincia con quest’ultimo, rappresentato da Ottima scusa – singolo che ha anticipato l’uscita dell’album – e che “a quanto pare va forte a Catania”. L’amor sacro invece si traduce nelle note e nelle parole di Willie Pooh, pezzo al limite del mieloso e che vede un gran lavoro da parte del bassista Luca Romeo, applausometro ufficiale della contesa oltretutto.
La penna di Willie, sottile ed acuta, insieme alla versatilità della sua musica ne fanno un artista capace di raggiungere una vasto pubblico: la prova più evidente è la location del concerto che nel frattempo si è riempita di una platea variegata.
La politica, a nemmeno una settimana dalle elezioni siciliane, non può di certo mancare: Peyote prima afferma che Sgarbi è un suo grande fan dato che in una recente intervista ha affermato che, nel suo ipotetico governo, Buffon sarebbe ministro dello sport (idea presente da anni in Vecchio ho fatto un sogno), poi parla di Dittatura, quella dei non fumatori (fotografando una delle ultime tendenze del Paese), arriva addirittura a dedicare un brano a Di Maio e Di Battista (Portapalazzo, con chiaro riferimento all’astensionismo giovanile e non) ed infine si scaglia contro Fascismo, CasaPound e Polizia ricordando i casi Aldovrandi e Cucchi (la canzone in questo caso è “un pezzo vecchio che non conosce nessuno”, Brucia la città).
Willie solitamente è irriverente ed ironico ed infatti i toni leggeri non tardano a ritornare: ad esempio dopo Turismi – nella quale viene citato più volte Maradona – WP loda Mascara e il gol da centrocampo contro il Palermo, spunto perfetto per raccontare la gaffe nel capoluogo rosanero in cui aveva usato inconsapevolmente il termine catanese “carusi”.
Un concerto di livello – grazie anche alla band “l’Orchestra Sabauda” che oltre a Romeo vede Marco Rosito alla chitarra (“si laurea martedì, fategli un grosso applauso perché è qui a suonare per voi”), Frank Sativa ad mpc, tastiere ed elettronica e Dario Panza alla batteria – che scivola piacevolmente con brani “tristi ma belli” (vedi Metti che domani, Giusto la metà di me) e “pezzi che fanno incaxxare anche Dio”, come I cani (con citazione irriverente di Riccione dei Thegiornalisti) nel quale l’amen del pubblico fa letteralmente tremare le pareti del Ma.
La folla è in visibilio: C’era una Vodka (racconto di uno dei vizi più diffusi in Italia) e Io non sono razzista ma… (critica non scontata all’immigrazione e di tutto ciò che provoca nel Paese) mettono il punto esclamativo al live.
Wille e Co. abbandonano il palco, ma il bis è d’obbligo: risaliti on stage Oscar Carogna, Vendesi (in un trionfo di accendini e flash) e Che bella giornata chiudono un crescendo durato circa un’ora e quaranta.
La cifra stilistica ed il contenuto dei suoi testi, a metà tra il rap e il cantautorato, fanno di Willie Peyote un’eccezione del panorama contemporaneo italiano: un ritratto elegante (quanto lui in giacca sul palco) e molto personale del presente in cui viviamo tramite istantanee provocatorie, ironiche, satiriche ma soprattutto efficaci, figlie di una critica mai banale che immortalano le tendenze (positive e negative) della società odierna nel nostro Paese.