“Streghe a Pachino – Un caso giornalistico irrisolto” è il documentario di Lorenzo Muscoso in concorso per il Festival I-ART.
Si tratta di un caso giornalistico e politico di 50 anni fa dimenticato da molti e “nascosto” da altri che oggi, alle ore 20.00, verrà presentato nel Centro Fieristico le Ciminiere di Catania (sala C1).
La storia è quella di Sebastiano Bosco e si snoda tra denuncia sociale e fatto politico. Il suo dramma di uomo povero e di padre costretto a seppellire la propria figlia, a soli 9 giorni dalla sua nascita e in totale solitudine, ha fatto il giro del mondo. Era il lontano 1963 quando accompagnava quel corpo privo di vita al cimitero per un ultimo e solitario saluto, sarebbe stato un tragitto breve, se non avesse incrociato Nuccio Marino, giovane reporter, che pur rimanendo sconvolto dalla scena di quel padre con la figlia deceduta tra le braccia decise di fotografarlo.
Quel silenzio si è presto tramutato in tumulto. Le foto mandate all’ANSA sono state poi trasmesse dal The Mirror, dal giornale francese “L’Aurore”, da “Il Quotidiano” e “L’Unità”. “La Sicilia”, “Diario Siciliano” e “Telesar” vi dedicarono grande spazio eppure, oggi, il caso è rimasto irrisolto e quasi nessuno ne parla. Gli archivi sembrano tacere allo stesso modo degli abitanti di Pachino di 50 anni fa.
Un caso di omertà, si chiedeva di smentire quanto la foto riportava e di tacere. Quello che in un primo momento si presentò come lo scorcio di una Sicilia che sembrava essere dimenticata divenne presto un evento strumentalizzato dalle imminenti elezioni politiche, infatti il partito democristiano attaccò i comunisti accusandoli di una montatura politica.
Lo studente reporter e il padre della bambina sono diventati le “Streghe di Pachino” e la loro storia oggi continua ad essere avvolta dal mistero.
Nel documentario, prodotto da Eriberto Muscoso per Dreamworld Pictures, si potrà rivedere Salvatore Marino e rivivere la sua storia e quella di Sebastiano Bosco all’interno di un’atmosfera resa intensa grazie alle musiche di Marco Werba.
Il regista Lorenzo Muscoso ci ha parlato del suo lavoro.
Quando ha scoperto la storia di Sebastiano Bosco e Nuccio Marino e ha deciso di farne un documentario?
«Ho visto il documentario 8 anni fa, in un festival del cinema del reale. Ricordo che in sala eravamo poche persone, tra queste vi erano anche i registi Beppe Ferrara, autore dell’opera originaria, Gianfranco Mingozzi e Paquale Scimeca. Il filmato mi colpì subito per lo stile narrativo e registico, sembrava un thriller di un caso avvolto nel mistero più assoluto. Il buio della sala e le esigue presenze lo rendevano ancora più cupo e affascinante. Mi sembrò talmente assurda come storia da pormi delle domande sulla stessa veridicità, e mi chiedevo che fine avesse fatto, il disgraziato protagonista. Durante il mio periodo universitario a Roma andai a trovare Beppe nel suo studio e discussi sull’argomento ed espressi la mia volontà di fare luce sulla vicenda, che all’epoca fu messa in dubbio da varie testate partitiche, lasciando, poi, il tutto nel dubbio. Successivamente Ferrara mi inviò il dvd e del materiale cartaceo e iniziai a lavorare a questo progetto. Erano passati 50 anni e trovare qualcuno vivo era solo una speranza. Non esistevano documentazioni, testimonianze, e inoltre, la maggior parte degli abitanti di Pachino non conosce questa vicenda, (una cosa che mi ha confermato anche lo stesso Gianpaolo Cugno natio del luogo), una cosa assurda che ha stimolato ancor di più la mia voglia di indagare. È come se fosse stata cancellata del tutto. E poi, perchè? Spinto da queste serie di motivazioni, ho cercato su internet informazioni e in particolare sul giornalista Nuccio Marino, il corrispondente dell’Ansa e de L’Ora che trasmise la notizia, e senza preavviso, andai a trovarlo per intervistarlo, proprio per cercare di non sprecare l’emozione che poteva generare in lui, il ricordare un fatto così lontano e che l’ha visto in primo piano».
2. Ha affrontato un tema molto particolare e di cui abbiamo poche notizie; ha intenzione di farne un lungometraggio continuando, dunque, a “indagare” su un fatto taciuto per troppo tempo?
«Riuscire a crearne un documentario mi sembrò un’ impresa ardua, quasi tutte le persone di quell’epoca erano emigrate o morte. Negli archivi non ho trovato nulla. Il giornale L’Ora aveva chiuso nel 1992, stessa fine avevano fatto le altre testate come l’Aurore, Diario Siciliano e Telesar. Marino mosso dall’entusiasmo, nonostante le evidenti difficoltà, si è subito prestato al progetto. Importante è stato anche il contributo di Orazio Barrese, storico giornalista dell’editoriale palermitano. È stato un miracolo realizzare un documento lungo quasi 20 minuti, la cui struttura mette in relazione il passato e presente, e con un stile registico simile a quella che fu di Ferrara. Il mio desiderio è quello di poter argomentare la storia con nuovi dettagli al fine di poter risolvere l’enigma, e scoprire, altresì la fine che fece Sebastiano Bosco, scomparso misteriosamente nel nulla. C’è anche l’idea di farne un lungometraggio, ma focalizzare l’attenzione alla triste vicenda, già ben raccontata nel ‘63, non è nel mio interesse. Sono attratto piuttosto da quei meccanismi di propaganda politica che strumentalizzano persone e fatti secondo i propri interessi partitici».
3. Nel documentario si rivedrà Nuccio Marino, quanto secondo lei il gesto compiuto nel 1963 ha cambiato la vita del giovane reporter?
«Sì, lo si rivede anzi ne diviene proprio il protagonista perché questo documentario si sofferma proprio sul valore della notizia e non sul gesto insano del fantomatico netturbino. La sua presenza produce un certo effetto, è l’unico e vero testimone del fatto e con la stessa fermezza di un tempo, ribadisce la veridicità della notizia. E ciò produce un certo effetto sia nel confronto con quella figura del giovane giornalista sia nella volontà di raccontare a tutti i costi la verità, onorando così una professione che, spesso, subisce violenze di vario tipo e soggetta a certi interessi. Nuccio Marino, a causa di quella notizia ebbe diverse ritorsioni e minacce ma ricevette anche delle proposte giornalistiche che non assecondò, e le ragioni sono a me sconosciute. Scelse di amministrare l’azienda di famiglia e tutt’oggi è tra le più note che vendono vini a Pachino».