Negli ultimi anni la parola startup è diventata sempre più familiare: alcuni parlando di un hype o di un abuso, usando il termine per definire qualsiasi nuovo progetto, non necessariamente innovativo. La realtà vede comunque una forte crescita di nuove idee soprattutto in ambito tecnologico e digitale. Per far luce su questo fenomeno, sono stati condotti numerosi studi e altrettante inchieste, primo tra tanti lo studio effettuato di Bankitalia.
In particolare, sul territorio italiano si possono riconoscere alcune dinamiche che operano in maniera contrapposta. Se da un lato si cerca di aiutare i giovani creativi a sviluppare i propri progetti con incubatori e progetti specifici per opera di enti e università, dall’altro lato si può notare una forte mancanza di investimenti soprattutto da parte del settore privato.
Una startup è, per definizione e per sua natura, un progetto non ancora pienamente sviluppato e dunque ad alto rischio. E proprio quest’ultimo aspetto sembra frenare, e non di poco, l’entrata di fondi privati nelle casse delle startup italiane. Ad esempio il Politecnico di Milano ha stimato che nel 2012 l’Italia ha destinato soltanto lo 0,01% del PIL al finanziamento di startup. Sicuramente molto meno rispetto ad altre realtà europee. Il divario risulta incolmabile se poi si fa riferimento a realtà ancor più dinamiche, come ad esempio gli Stati Uniti o Israele.
Rimanendo in Europa, non si può tralasciare il fenomeno startup berlinese. Come mostra la mappa, la capitale tedesca vede una concentrazione altissima di nuovi progetti all’interno dell’area metropolitana, con oltre 700 startup e 14 incubatori. Tante sono le nuove idee in fase di sviluppo nella capitale tedesca, anche grazie ad investimenti privati. Un esempio è la neonata GoEuro, una piattaforma per la comparazione e la combinazione di diverse modalità di viaggio. Il progetto ha un anno di vita, ma è già riuscito ad ottenere due tranche milionarie di investimenti da parte di soggetti del calibro di Lakestar e Hasso Plattner. L’ambiente sembra dunque dare maggiori possibilità di sopravvivenza, ragion per cui tantissimi nostri connazionali decidono di sviluppare le proprie idee nella capitale tedesca. Per avere un’idea è sufficiente seguire gli aggiornamenti e i contributi presenti online di Digitaly Berlin, la comunità di startupper italiani a Berlino.
Dunque gli investimenti privati e la mancanza di “fare impresa” in Italia sembrano essere le discriminanti per chi rimane e per chi cerca opportunità all’estero. Ovviamente anche il Bel Paese può vantare realtà positive. Sempre Bankitalia sostiene nel suo studio che gli incubatori migliorano di molto le possibilità di sopravvivenza delle startup nostrane. Il problema però rimane, anche perché possiamo chiedere allo stato che sostenga l’innovazione con misure ad hoc, ma non è possibile pensare che lo Stato investa massicciamente e costantemente in progetti ad alto rischio. Questa attitudine dovrebbe appartenere maggiormente al settore privato, e in realtà è ciò accade negli USA, dove l’alto rischio viene considerato come una caratteristica congenita di questo tipo di investimenti.