Era il 1983 quando al Gas Studio di Firenze furono registrati dodici pezzi, ma ne uscirono solo tre ed il resto fu messo da parte. Nel 2013 il vostro manager e produttore Francesco Fracassi, riordinando una cantina che aveva a Venezia ha ritrovato le pizze multitraccia di quelle registrazioni. L’idea di pubblicare finalmente questo materiale inedito è partita da lui?
Si, devo ammettere che l’idea è partita da lui. Noi eravamo presi da altre cose, non ricordavamo più quelle registrazioni. Lui ci ha ricordato del fatto che erano passati trent’anni dal 1984, e cioè da quando abbiamo pubblicato il nostro primo disco, e quindi ci ha proposto di festeggiare il trentennale pubblicando questi pezzi.
In quel periodo Firenze era il centro della scena new wave, e per citare alcuni nomi mi vengono in mente i Litfiba, i Diaframma, i Neon. Kamikaze Bohemien respira quell’aria, ma è anche un album di ricerca, ed una commistione di vari generi. Che ricordi hai di quel periodo?
All’epoca Catania non era attrezzata a livello di studi di registrazione, soltanto negli anni ’90 si è strutturata la Cyclope Records, quindi a Firenze negli anni ’80 abbiamo usufruito delle cose che invece già c’erano. Con i Litfiba abbiamo partecipato al Festival di Bologna, loro arrivarono primi e noi secondi, e a quelle registrazioni partecipò anche Ghigo Renzulli, mentre Maroccolo transitava di tanto in tanto nello studio di registrazione. C’era una certa amicizia, non c’era una rivalità come invece si potrebbe pensare tra i gruppi che c’erano in quel periodo sulla scena.
Qual è stata la reazione quando avete ascoltato i pezzi al di là dell’impatto emotivo?
La qualità. Sai quando tu magari fai una cosa fatta tanti anni prima e non la ritieni degna di essere pubblicata? Qui invece è stato il contrario, ci sono delle cose che fai a vent’anni e che magari non farai più, ma che hanno una freschezza che con la maturità puoi perdere… certo, con la maturità guadagni altro, ma quello che hai fatto tanti anni prima è una fotografia di quegli anni.
Jonathan Giustini con il libro “Tempi di libero rock”, attraverso la storia dei Denovo ha ripercorso la storia culturale di un’intera città, precisamente dal 1982 al 1990, e che aveva consacrato Catania come Seattle d’Italia. Tu sei nato a Siracusa, ma hai vissuto a Catania, e quest’ultima è sicuramente cambiata rispetto a quel periodo. Credi che ancora oggi possa ancora fregiarsi di quel titolo?
Onestamente non più. Ultimamente Palermo ci ha di gran lunga superato per quello che riguarda la Sicilia. Palermo è dinamica, ci sono musicisti come Dimartino, Nicolò Carnesi ed altri. A Catania c’è sicuramente una scena, come non ricordare Cesare Basile, ma lui già fa parte della mia epoca. Ci sono altri artisti, magari ora mi sfugge qualche nome, ma è una scena sonnolenta.
Questa è una domanda personale, è più un ricordo che altro. Era il 1999, accendevo la radio e spesso trasmettevano un tuo pezzo da solista, “E’ già domani”. L’ultima strofa recita “volere troppo è come non volere niente”, pensi che questa frase abbia ancora una valenza?
Credo che le canzoni valgano per quell’attimo. Non voglio smitizzarla, ma credo che le canzoni non siano un qualcosa di definitivo, non sono la cassazione, vanno prese per quello che sono, ed un’altra canzone può contraddire quell’altra.
Progetti futuri come solista e come Denovo?
I progetti come Denovo consistono in piccoli showcase, piccole presentazioni di questo disco, ma non credo che ci saranno dei concerti veri e propri. Come solista invece vi è il lavorazione il mio nuovo disco che uscirà l’autunno prossimo.
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