Boom di laureati in ambito umanistico e pochi sbocchi lavorativi per i già pochi laureati italiani: i dati del rapporto Ocse 2017.
Pochi laureati in Italia e la maggior parte in ambito umanistico: sono questi i dati del rapporto Ocse “Education at a glance 2017 – Uno sguardo sull’educazione”, il report annuale sull’educazione dei Paesi a economia avanzata. La fonte è piuttosto autorevole e non propone un ritratto lusinghiero del nostro Paese: solo il 18% degli italiani ha una laurea considerando la fascia d’età che va dai 25 ai 64 anni. Una percentuale estremamente bassa che colloca l’Italia tra gli ultimi posti dei Paesi Ocse dove, al contrario, la media si attesta intorno al 36%, praticamente il doppio rispetto al nostro Paese.
Un dato interessante, però, che emerge dalla ricerca e che fa discutere perché tocca il cuore di una questione spinosa circa le università del nostro Paese è la “cattiva” predisposizione degli italiani per le discipline umanistiche. L’eterna querelle tra ambito scientifico e umanistico avrà nuova carne da mettere al fuoco perché, secondo gli esperti, una delle dirette cause del basso numero dei laureati sarebbe proprio la scarsa consapevolezza delle possibilità lavorative che il mercato del lavoro riserva a coloro che scelgono un percorso scientifico. Nel dettaglio, si nota come, per l’anno 2015, il 39% degli studenti italiani ha conseguito una laurea di primo livello nel campo delle belle arti e delle discipline umanistiche, delle scienze sociali, del giornalismo e dell’informazione mentre la media Ocse si attesta intorno al 23%; il 25% si è laureato in una disciplina tecnico-scientifica, con una media Ocse attestata intorno al 22%; e solo il 14% ha conseguito una laurea nel campo dell’economia, della gestione e della giurisprudenza rispetto alla media Ocse del 23%.
Ma, scavando ancora più a fondo nella questione, dal rapporto emerge che questa grossa fetta di laureati in ambito umanistico presenta anche una forte spaccatura al suo interno: sarebbero, infatti, le donne a conseguire la maggior parte dei titoli di studio in ambito umanistico. Com’è già noto, infatti, sono le donne a prediligere le materie umanistiche e questo le penalizzerebbe nel momento dell’ingresso nel mondo del lavoro. In particolare, le donne dominerebbero il settore dell’istruzione, delle belle arti, delle discipline umanistiche, delle scienze sociali, del giornalismo e dell’informazione sia per quanto riguarda la laurea di primo livello che quella di secondo livello. Nel settore educativo, poi, la differenza è lampante: il 93% dei laureati è composto da donne. Al contrario, gli uomini rappresenterebbero la maggior parte dei laureati di primo e di secondo livello in settori più scientifici come quello dell’ingegneria, dell’edilizia, delle tecnologie dell’informazione e delle comunicazioni.
Dei dati che, secondo gli esperti, penalizzano gli italiani e il loro ingresso nel mercato del lavoro, spietato nei confronti dei laureati in materie umanistiche per i quali gli sbocchi occupazionali non sono, di certo, numerosissimi. Per questo, secondo il rapporto, in Italia bisognerebbe valorizzare piuttosto le cosiddette competenze ‘STEM’ (Scienza, Tecnologia, Ingegneria, Matematica), cercando di sviluppare nei giovani studenti una maggiore consapevolezza di ciò che il mercato del lavoro e l’economia richiedono. A tal proposito, Giovanni Brugnoli – vice presidente di Confindustria per il Capitale Umano – ha dichiarato che “l’istruzione senza una specializzazione in questi ambiti, non solo penalizza le imprese ma, spesso, favorisce la disoccupazione”, e che dunque è necessario avere più laureati in queste discipline.
Delle riflessioni interessanti se consideriamo solo l’aspetto funzionale del conseguire un titolo di studio, un aspetto che, però, potrebbe essere opinabile nel momento in cui si riflette lucidamente sull’importanza delle discipline umanistiche ai fini dell’acquisizione di valori fondamentali per una civiltà. Come scriveva Vargas Llosa in un saggio sulla letteratura, viviamo in un’epoca di “specializzazione della conoscenza, causata dal prodigioso sviluppo della scienza e della tecnica che porta con sé, senza dubbio, molti benefici perché consente di progredire nella ricerca e nella sperimentazione ed è il motore del progresso. Ma determina anche, come conseguenza negativa, l’eliminazione di quei denominatori comuni della cultura grazie ai quali uomini e donne possono coesistere, entrare in comunicazione e sentirsi in qualche modo solidali”. È bene, perciò, incentivare i giovani a scegliere anche dei percorsi scientifici, ma farlo a discapito di quelli umanistici e solo in vista di un futuro lavorativo più roseo, forse, non è il modo giusto per sviluppare coscienza e spirito critico nelle nuove generazioni.