Si è tenuto a Palazzo degli Elefanti l’incontro inaugurale di “Cities for life”, la manifestazione organizzata dalla Comunità di Sant’Egidio contro la pena di morte.
L’incontro è stato moderato dal professore Giuseppe Vecchio, docente dell’Ateneo catanese e ha visto partecipare il Sindaco Enzo Bianco, il prefetto Maria Guia Federico, il presidente regionale di Sant’Egidio Emiliano Abramo, il presidente della comunità islamica della Sicilia Keith Abdelhafid e il professor George F. Kain, che insegna diritto penale ed è stato un ex funzionario del ‘braccio della morte’.
“Catania – ha detto il Sindaco – vuole essere città della pace, della tolleranza, del rifiuto di ogni violenza. E questo lo ha dimostrato con il suo impegno per l’accoglienza, affrontando il dramma dei migranti che fuggono da fame e guerre. In ogni luogo del mondo dobbiamo combattere le violenza che nasce in qualunque luogo di emarginazione e dunque anche nelle periferie urbane, con le armi della cultura e dell’inclusione sociale. A Catania stiamo lavorando per far crescere la qualità della vita nelle periferie”.
Il presidente di Sant’Egidio, Emiliano Abramo ha ripreso le parole del Sindaco ed ha sottolineato che spesso le periferie sono covo di emarginazione e di terrore, difatti moltissimi foreign fighters sono partiti proprio dalle periferie delle grandi città europee.
Il presidente delle comunità islamiche della Sicilia, Keith Abdelhafid, ha invece dichiarato che molto spesso il Corano è stato distorto ed usato per altri scopi e che ci sono altri esempi di uso del Corano per portare avanti la pace e non l’odio e la violenza.
Il professor Kain ha invece portato la sua esperienza di ex funzionario del ‘braccio della morte’:
“Fino ad allora ero convinto della giustezza di quel sistema, ma il vivere quotidianamente con persone che attendevano di essere uccise dallo Stato mi ha fatto cambiare idea. Per anni ho creduto che la pena di morte mi tenesse al sicuro, credevo di lavorare per un sistema di giustizia perfetto. Studiando ho scoperto una realtà molto diversa: la pena di morte attacca solo chi non ha risorse: poveri ed emarginati. L’armonia di una società dipende da come vengono trattati i più poveri e noi stiamo inculcando nei nostri figli una cultura di morte”.