In un istituto comprensivo di Latina circolava un link di una chat WhatsApp al quale erano iscritti più di 100 studenti delle classi prime, seconde e terze. Qualche giorno dopo la creazione del gruppo, un uomo è riuscito ad entrare nel gruppo e a molestare gli studenti con delle foto spinte e a contattare privatamente delle studentesse. Alcuni genitori, essendo stati avvertiti dai loro figli dell’accaduto, hanno contattato subito la polizia postale, la quale ha iniziato le indagini e per le quali l’uomo sarebbe colpevole per adescamento.
“Il gruppo creato viene utilizzato in modo improprio e non per comunicazioni corrette. Pertanto i genitori sono invitati a controllare le chat WhatsApp e in generale i social media utilizzati dai propri figli al fine di evitare qualsiasi problematica” – queste le parole della dirigente dell’istituto, la quale, venendo a conoscenza dei fatti, si è premurata nell’avvisare quei genitori ancora ignari dei fatti in corso.
In una società sempre più social e dinamica, è molto difficile mantenere il controllo di ciò che accade sui dispositivi dei minori. La Polizia Postale ha lanciato un messaggio: “Ovviamente le indagini che stiamo svolgendo sono nel massimo riserbo, non dimentichiamoci che si tratta di ragazzi minorenni. Da parte delle famiglie invece ci vorrebbe più collaborazione. Quando accadono episodi di questo tipo bisogna consegnare a noi il telefono della vittima in modo da poter ricostruire i passaggi. Questo frena le famiglie ma invece è importante perché la prima cosa che un adolescente fa quando si sente in pericolo è cancellare i messaggi inappropriati, anche per la paura del controllo. Al contrario, occorrerebbe proprio questo: più controllo e dialogo perché se il minore sa che può fidarsi la strada è molto più semplice. Bastano pochi accorgimenti per esempio un tempo limite sull’utilizzo dei dispositivi, non portare il telefono in camera al momento di dormire, piccole cose che però fanno capire al minore che c’è un controllo. Le prime sentinelle sono le famiglie, poi la scuola. Poi le Forze dell’ordine, ma quando arriviamo noi, il reato si è già consumato”.