In quest’ultime settimane l’epidemia di Coronavirus ha spinto moltissimi fuori sede meridionali a fare ritorno, in fretta e furia, dalle proprie famiglie al Sud. La situazione ha creato, tuttavia, non pochi disagi e numerose critiche, considerata l’alta possibilità di contagio e diffusione del Covid-19 anche nelle regioni meridionali. In una lettera, indirizzata al Governatore Nello Musumeci, uno studente siciliano trasferitosi a Torino parla della questione della fuga dal Nord.
Di seguito la lettera:
Gentile presidente Nello Musumeci,
mi chiamo Francesco La Spina sono SICILIANO, di Caltagirone, ho 23 anni e da cinque sono emigrato al nord per proseguire il mio percorso di studi presso la scuola di economia e management dell’Università di Torino. Questi che stiamo vivendo sono giorni bui per la nostra nazione, questa crisi economico-sanitaria ha creato molti conflitti ma soprattutto sta alimentando odio e ostilità nei confronti di quei siciliani, come me, scappati dalla nostra Buttanissima Sicilia – tanto per citare Pietrangelo Buttafuoco e far capire come mai ci siamo ritrovati al punto di dire arrivederci alla nostra meravigliosa terra.
Nella mia fiorente avventura pensavo di aver visto di tutto: ricordo i primi anni 2000 dove i Malacunnùtta erano i popoli slavi, romeni e albanesi. Dieci anni dopo, circa, è arrivato il momento di accanirsi con i popoli africani. L’odio è nell’indole dell’uomo: ricordo i racconti di mio nonno paterno, Francesco, che arrivata la maggiore età decise di emigrare a Bologna per trovare, in qualche fabbrica, fortuna, e raggiunse suo fratello maggiore: la sua avventura romagnola durò qualche mese perché non riuscì a sopportare l’odio dei romagnoli nei suoi confronti e di tutti i meridionali che vivevano ghettizzati tutti nel quartiere “Il villaggio del pilastro”. Questa non è solo la storia di mio nonno ma di tutti i meridionali e siciliani ghettizzati a Lingotto e Mirafiori a Torino, alla Barona o a Quarto Oggiaro a Milano e via dicendo. Ma Presidente, mai avrei potuto immaginare di vedere nell’epoca del corona virus siciliano sano vs siciliano possibile infetto.
È il 23 febbraio, come ogni domenica appuntamento in stazione e si va ad arbitrare, sì sono un assistente arbitrale in promozione del CRA Piemonte Valle d’Aosta, e apprendo dai miei designatori che forse la partita potrebbe non giocarsi per evitare il contagio del corona virus. Il nostro Paese, più o meno da quel giorno, è sotto attacco da questa bestia che sta mietendo migliaia di vittime tra i nostri fratelli/sorelle italiani, e da quel giorno le regioni del nord hanno, pian piano, iniziato ad evitare assembramenti chiudendo scuole, università, uffici, ecc.
Sono sincero con Lei, Presidente, inizialmente ho sottovalutato la questione e pensavo che tempo una settimana saremmo tornati alla normalità, l’ho vissuta come una vacanza post-sessione invernale infatti quando ho informato i miei genitori del blocco ho baypassato la proposta di mia mamma che mi invitava a tornare. Passano i giorni, aumentano le restrizioni e pur non essendo Torino zona rossa decido di auto mettermi in quarantena, perché conscio di essere solo ho paura di ammalarmi ma soprattutto ho timore di contagiare i miei cari. Passano i giorni, nessun sintomo, potrei essere asintomatico, e decido di osservare altri giorni di auto quarantena. Passano i giorni, 20 totali, ed inizio a programmare la mia traversata dello stivale per tornare a casa.
Chiamo ripetutamente la protezione civile per prendere le giuste precauzioni e per chiedere quale sarebbe stata la procedura da seguire per auto-denunciare il ritorno dal nord. Al fine di evitare possibili contagi durante la mia attraversata dello stivale, decido di partire in macchina – il modo più sicuro in questo momento. Visto il malochiffari di questi giorni, trepidante di poter tornare e stare sei mesi in Sicilia (perché la sessione estiva si svolgerà telematicamente), inizio sabato a preparare le valigie. Domenica ho tutto pronto, manca solo la benzina nella macchina, quella l’avrei fatta il giorno della partenza per evitare di uscire inutilmente. Sono le 18:30 circa, ricevo un whatsapp da un neo ingegnere caltagironese, studente del politecnico di Torino, nonché amico, Francesco, nella mia stessa situazione: è un allegato, è la bozza del DCPM che al comma B. vieta il rientro presso il proprio domicilio, abitazione o residenza e mi obbliga a restare nel comune in cui attualmente mi trovo.
Adesso mi chiedo: ‘Come si sente lei, Presidente, padre putativo di tutti noi siciliani, sapendo che i suoi figli sono in balia di un’emergenza simile? Non sarebbe opportuno mettere in sicurezza i suoi conterranei? Non si potevano allestire dei campi per la quarantena, qualora non si avesse a disposizione una seconda casa dove passare i 15 giorni di isolamento? Poteva essere, ad esempio, una valida alternativa occupare gli spazi esterni dell’ex C.A.R.A. di Mineo per allestire un campo? Oppure fare convenzioni con hotel/b&b, anche a spese nostre?’
Perché sa Presidente, io divido la casa con mia sorella, anche lei studentessa, se uno dei due dovesse contrarre il virus, malauguratamente, anche l’altro sarebbe positivo e a quel punto chi si preoccuperebbe di me? A chi potrei chiedere per 1kg di pasta? Oppure pensi a Matteo, caltagironese anche lui, studia a Parma – zona rossa – lui è meno fortunato di me: i suoi coinquilini sono tornati dalle loro famiglie, da 15 giorni è solo a casa in auto-quarantena e anche lui era pronto a mettersi in viaggio e a pagare a proprie spese un b&b per affrontare altri 15 giorni di isolamento.
Infine Presidente non la prenda come una cosa personale, ma questa è la storia di Francesco, Marco, Giacomo, Giuliana, Marina e tutti i siciliani emigrati a cui è stato fatto divieto di ritornare nella LORO Buttanissima Sicilia, tanto amata.
Cordiali saluti.
Un siciliano qualunque