Undici maggio 2017, l’Italia negozia con la Libia il blocco delle partenze di profughi e migranti. Al Cara di Mineo si svolge un incontro tra autorità italiane, alcuni delegati nordafricani di organizzazioni internazionali e una delegazione di libici, ufficialmente per discutere di strategie di soccorso e d’accoglienza. Nel gruppo dei delegati, provvisto di regolare visto per l’Italia, c’è anche Abd al-Rahman al-Milad, meglio conosciuto come Bija: un comandante della guardia costiera libica accusato dall’Onu di essere uno dei più noti trafficanti d’esseri umani del paese nordafricano. Dopo la tappa al Cara di Mineo, Bija sarà ospite anche del Ministero dell’Interno e del Ministero della Giustizia, visite su cui tuttavia si è preferito mantenere a lungo il silenzio.
A svelare la presenza del comandante libico in Italia sono state le inchieste di recente pubblicate per l’Avvenire da un siciliano, Nello Scavo, cresciuto a Scordia, nel Catanese, ma residente ormai stabilmente a Como. Qualche tempo dopo l’uscita del suo lavoro, tuttavia, Scavo viene messo sotto tutela dalla Polizia di Stato a causa delle minacce, “nemmeno tanto velate”, come dichiarato dal viceministro dell’Interno Vito Crimi per l’occasione, fatte da Bija nei suoi confronti e nei confronti della collega Nancy Porsia.
Le accuse delle Nazioni Unite nei confronti di Bija sono molteplici ma, nonostante ciò, le autorità gli forniscono un regolare visto per l’Italia, forse perché all’epoca ancora capo della guardia costiera di Zawiyah, zona nevralgica per i controlli delle partenze dei migranti. Assieme a Scavo, dunque, abbiamo cercato di ricostruire la figura di questo personaggio e di capire perché è così legato alla Sicilia e all’Italia.
Zawiyah: la zona cruciale tra migranti e petrolio
Se Bija è una persona così importate nel suo paese, tanto da influire nei rapporti internazionali con l’Italia, lo deve anche alla zona in cui è stabilito il clan al-Nasr di cui è uno dei comandanti, Zawyah. Qui, infatti, “si trova una delle più grandi raffinerie di tutta la Libia – spiega Scavo –, quella che sta producendo/estraendo il maggior numero di barili di petrolio per giorno. La raffineria è controllata dall’ente unico petrolifico della Libia, il Noc, ma è vigilata da milizie private attraverso la Petroleum Facilities Guard, che di fatto in questo caso è totalmente sotto il controllo della milizia al-Nasr”.
Non si tratta di un dettaglio di poco conto in uno stato dove ogni anno spariscono, secondo le autorità libiche e gli studi delle Nazioni Unite, ogni anni 750 milioni di idrocarburi, commercializzati illegalmente altrove. “Queste milizie – dichiara il giornalista a proposito anche di al-Nasr – si muovono come clan mafiosi. Una volta che hanno il dominio su un territorio ne controllano tutti i traffici della zona”. Oltre al petrolio, a Zawyah si trova il più grande campo di prigionia ufficiale della Libia, dopo la chiusura di gran parte di quelli di Tripoli: “e si chiama guarda caso al-Nasr, come il nome della sua milizia”, chiosa a proposito Scavo.
L’identikit di Bija
Il giovane comandante libico inizia la sua carriera studiando all’Accademia Navale quando c’era ancora Gheddafi al comando del paese. Durante la rivoluzione si schiera contro il regime e viene ferito svariate volte, tanto che oggi gli mancano due o tre falangi dalla mano destra. “Si accumulano tutta una serie di elementi anche se simbolici che di fatto hanno contribuito a costruire una figura di personaggio mitico“, spiega ancora il reporter, che poi precisa: non solo ufficiale della guardia costiera, Bija “è un leader tribale attraverso la sua tribù, confluita tutta nella milizia al-Nasr, che avrebbe a disposizione almeno 2000 uomini, e che è doppiamente importante adesso”.
Al-Nasr, infatti, è ufficialmente schierata a sostegno del governo centrale di Tripoli, per cui Bija stesso sta combattendo. Nasce qui una contraddizione importante: il governo ufficiale è sostenuto dall’Onu, ma sono state le stesse Nazioni Unite a chiedere in precedenza l’espatrio del trafficante e il blocco di tutti i suoi beni, proprio per i sospetti sul suo conto. Un contrasto che contribuisce a creare un alone di intoccabilità intorno alla sua figura. “Questa contraddizione – dichiara infatti il giornalista dell’Avvenire – fa sì che dal punto di vista dell’immagine esca rinforzato, perché sta dicendo al territorio: ‘Perfino l’Onu non può fare a meno di me’. Perfino l’Onu, che mi vorrebbe in galera, che mi vorrebbe portare davanti alla corte penale internazionale, non può fare a meno di me”.
Il traffico di esseri umani
Fin qui, però, i migranti c’entrano poco, e il suo ruolo nei centri di detenzione non è ancora chiaro. Eppure è dal controllo degli sbarchi che viene gran parte del potere di Bija. Diverse inchieste siciliane, in particolare della Procura di Agrigento, hanno dimostrato l’autorità della sua figura all’interno dei campi. “L’ultima dovrebbe essere di luglio di quest’anno e ha portato all’arresto di 3 presunti torturatori che erano ospitati nell’hotspot di Messina – dichiara Scavo – In questa indagine i migranti parlano spesso di una figura temutissima che arrivava nel campo e decideva chi doveva salire sui barconi e chi doveva restare. Non ricordano il suo nome, ma viene descritta con le stesse fattezze di Bija. Inoltre, ricordano che aveva una mano offesa, come lui, e infine non ricordano il nome ma viene chiamato dagli altri ‘Bingi’ o ‘Bengi'”. Tre indizi fanno una prova, anche secondo la Procura.
Avere il potere di decidere chi sale e chi resta significa probabilmente anche poter scegliere quanti barconi possono salpare dal porto di Zawyah e questo aiuta in parte a capire perché sia stato invitato in Italia. “L’arma dei migranti che Bija ha a disposizione non è solo economica ma è diventata un’arma politica internazionale, perché lui in sostanza sarebbe in grado di mettere in mare 50 barconi e di fare andare in crisi i governi europei e in particolare quello italiano”. Un’ipotesi che tuttavia è stata in parte dimostrata da altre coincidenze sin troppo ricorrenti per essere casuali.
“Analizzando i flussi migratori, come fa l’ISPI con Matteo Villa, ci sono dei periodi dell’anno in cui il flusso torna a salire finché poi torna quasi ad azzerarsi – aggiunge ancora una volta Scavo, inserendo gli ultimi tasselli dell’intricato puzzle -. Quello che abbiamo ricostruito tante volte in questi anni è che quando ripartono i flussi migratori quasi sempre arriva la richiesta dalla Libia di nuovo equipaggiamento all’Italia o all’Europa. In sostanza vuol dire: ‘finanziateci, pagateci’. Hanno un’arma di ricatto formidabile”.
In realtà, per quanto abbia un ruolo importante, Bija non è il boss incontrastato di Zawiyah, come potrebbe sembrare finora: “I capi assoluti di questo meccanismo sono i cugini Khushlaf, un avvocato e un contabile, che sono i veri referenti politici di tutte le operazioni nell’area. Lui è un generale, se dovessimo immaginarlo come un governo parallelo”. Proprio quest’ultimi, circa venti giorni fa, hanno inaugurato un ospedale convenzionato col sistema sanitario pubblico di Tripoli, riciclando denaro sporco in pieno stile mafioso: “Con la doppia beffa che la sanità libica è finanziata in parte anche dall’Europa”, aggiunge Scavo concludendo.
I rapporti tra Bija e l’Italia
Come si diceva in apertura, due anni fa Bija si trovava in Italia, accolto dal governo durante una serie di incontri nascosti e che sono stati svelati proprio dalle indagini di Nello Scavo. “Non consenti sostanzialmente a un capomafia di venire a casa tua e di concedergli tutti gli onori alle autorità riconosciute – dichiara il giornalista al microfono -. Non mi sorprendo del tentativo di dialogo con queste forze, dato che il governo centrale è molto debole, ma del fatto che Bija sia arrivato in Italia”. Come se non bastasse, i vari governi succedutisi nel frattempo non hanno reso pubblico l’elenco dei nomi degli altri delegati libici arrivati in Sicilia per l’incontro: una cautela che rende le operazioni niente affatto trasparenti. Le scoperte sono dunque avvenute un po’ alla volta, senza aiuti da parte delle autorità. Ma anche senza smentite ufficiali.
“Abbiamo i documenti che dimostrano come precedentemente alla visita in Italia i servizi segreti italiani, tedeschi, austriaci e maltesi sapevano chi era Bija – afferma ancora il giornalista – e questo costituisce un momento di imbarazzo, tanto che non abbiamo smentite ufficiali né trasparenza sul suo viaggio. Strano che le autorità non si facciano avanti per dire che ha partecipato a un corso di formazione, quindi dubitiamo anche di altre missioni ripetute nel periodo successivo”.
Quali che siano i rapporti tra Bija e l’Italia, è evidente che le inchieste di Scavo abbiano dato fastidio, come dimostra la decisione della Polizia di Stato di metterlo sotto tutela. Al riguardo, il giornalista dichiara di non aver mai fatto alcuna denuncia. Si tratta, infatti, di un’“iniziativa autonoma da parte delle autorità, che hanno ritenuto di avviare un servizio autonomo di sorveglianza e tutela”. La decisione è stata quindi presa dall’alto, in ottica presumibilmente prudenziale. “Devo fidarmi del fatto che se a livello centrale la pubblica sicurezza ritiene di dovermi tutelare non posso dire di non farlo – afferma, chiudendo il discorso al riguardo -. Vorrei che si dicesse, tuttavia, la massima gratitudine a chi si sta occupando di questa operazione perché mi permette di vivere la vita professionale con la massima tranquillità e libertà, tenendo conto che ci sono stati dei cambiamenti importanti, anche se non mi sento limitato”.
Il ritorno di Bija a Zawiyah
Qualche mese dopo la sua visita in Italia, il Consiglio di Sicurezza dell’Onu impone delle sanzioni a Bija e altre cinque persone, ritenute i boss dei traffici di migranti in Libia. Dopo questa decisione, Bija viene sollevato dall’incarico come capo della Guardia Costiera di Zawiyah. Tuttavia, in un’intervista realizzata da Francesca Mannocchi per l’Espresso pubblicata in data 25 ottobre, lo stesso comandante libico dichiara che a breve sarebbe ritornato al suo posto di comando dopo aver ricevuto una lettera ufficiale di autorizzazione. Eppure, le accuse su di lui non sono affatto cadute. Anzi, secondo quanto afferma Scavo, il ministro dell’Interno libico avrebbe dichiarato che penderebbe sull’ufficiale costiero un mandato di cattura emesso dalla Procura di Tripoli ad aprile di quest’anno.
“Questo mandato di cattura non è stato eseguito perché ci sono i combattimenti in corso – aggiunge Scavo, spiegando perché il comandante non sia stato ancora arrestato -. Tradotto, significa che fin quando Bija combatte dalla nostra parte non lo arrestiamo. È un segnale mandato a lui più che a noi, perché da una parte cerca di tranquillizzare i governi europei, dicendo no, tranquilli, c’è un mandato e lo eseguiremo quanto prima. Dall’altro, dice a Bija che finché starai dalla nostra parte tu in galera non ci finisci”.
Non si tratta soltanto di supposizioni. L’intervista a Bija, andata in onda anche su La7, è stata realizzata presso il comando della guardia costiera di Tripoli, non a Zawiyah, il covo dove il ricercato dovrebbe rifugiarsi. Per Scavo, questa è la dimostrazione che non c’è alcuna volontà di arrestare il trafficante di migranti: “Ci stanno dicendo in sostanza che Bija è un intoccabile, con un conflitto dentro le istituzioni libiche che sa molto di farsa e di presa in giro a chi sta sostenendo queste autorità, come l’Onu”.