Ben 380 milioni di euro. Questi sono i fondi che, la Corte Europea, – che dal 2005 indaga attraverso una serie di verifiche sulla correttezza dei dati e della gestione dei fondi – è stata obbligata a ritirare. Fondi che altrimenti sarebbero stati stanziati al territorio siciliano e che, vista la carenza di controlli di tali fondi e di assenza di programmazione d’investimento dei suddetti – per evitare truffe e/o raggiri – la Sicilia non vedrà mai.
Dall’Olaf, l’organismo europeo anti frode, ci viene confermata la presenza di gravi carenze e varie irregolarità. Ed ecco che il 17 dicembre 2015, la Commissione Europea ha ritenuto, a causa delle irregolarità constatate, il contributo finanziario dovesse essere ridotto di 380 milioni. L’Italia ha risposto presentando un ricorso al Tribunale dell’Unione europea, rigettato il 25 gennaio 2018. L’Italia ha quindi impugnato la sentenza davanti alla Corte di giustizia, che oggi respinge integralmente il ricorso dell’Italia, confermando le valutazioni del Tribunale.
Allora, al presidente della Regione Nello Musumeci, si richiede di avviare un’indagine interna in modo da risalire ai responsabili. La replica di Musumeci è stata pressoché immediata, secondo il quale, in Sicilia “continuiamo a pagare errori del passato per una cattiva gestione finanziaria. Miliardi di euro sottratti al territorio – e conclude – chi ha sbagliato deve pagare“. Ma non è così semplice. La “falla nella gestione” è, con ogni probabilità, attribuibile agli anni fra il 2000 e il 2006 e proprio per questo – anche con una accurata indagine interna – sarebbe difficile risalire davvero a chi ha omesso i controlli.
La nostra terra, tra la speranza di individuare i responsabili e l’amarezza di 380 milioni di fondi europei – che sarebbero potuti essere investiti per progetti davvero utili all’Isola – auspica che queste siano dichiarazioni realmente rivolte ad una sete di giustizia che “di facciata”.