John Real è un giovane regista catanese che ha deciso di tornare e investire sulla sua terra. La provincia di Catania è infatti diventata protagonista di molte scene del suo nuovo film: The Music Box”, tradotto “Il Carillon”, un thriller abbastanza elaborato che mette in scena la storia della piccola Sophie, una bambina di sei anni rimasta orfana, la cui tutela è affidata alla zia Annabelle. Entrambe si trasferiscono in una nuova casa, dove la bambina trova un carillon, elemento chiave e di incipit di tutto lo svolgimento del thriller.
Le ambientazioni predilette sono state le biblioteche: ne compaiono ben tre. Grande spazio è stato dato ai boschi dell’Etna, che per la prima volta suggeriscono immagini inquietanti e diventano paesaggi interiori del thriller.
Classe 1988, all’anagrafe Giovanni Marzagalli, dopo aver concluso i suoi studi in America, si è specializzato nel settore cinematografico. Dopo “Native”, che ha girato a 21 anni, e “Midway tra la vita e la morte”, il giovane regista catanese ha ricevuto prestigiosi riconoscimenti nell’ambito del cinema internazionale, tra cui tre Globi d’oro con l’uscita del suo primo film. Live Unict lo ha incontrato pochi giorni dopo l’uscita del suo ultimo lavoro nelle sale cinematografiche italiane.
1. Il thriller horror non è un genere per tutti. “Il Carillon” è il tuo terzo film su questa scia. Da cosa scaturisce la tua passione per questo genere?
È un genere che mi piace raccontare e lo seguo volentieri. Non c’è un motivo ben preciso o un regista al quale attribuirei la mia passione per il thriller horror, amo il cinema in generale. Ho diversi film che voglio produrre, alcuni sono thriller, altri drammatici, altri d’azione. Al momento i primi che hanno trovato la giusta ispirazione per venire fuori sono quelli thriller. “Il Carillon” è un film che ho diretto 4 anni fa, all’età di 26 anni. In quegli anni la voglia di raccontare questa storia evidentemente era molto forte e le circostanze artistiche, produttive e l’età mi hanno portato su questa scia. Ho diretto recentemente un altro film che è un thriller psicologico, a tratti fortemente drammatico, che tocca un tema sociale molto importante che riguarda il mondo femminile. Nei prossimi mesi terminerò le riprese di un film drammatico sulla depressione, al quale sto lavorando da qualche mese. Forse c’è un percorso artistico personale che mi spinge piano piano a toccare argomenti e generi diversi. Sicuramente l’età influisce sulla volontà di cosa raccontare.
2. Sei andato a studiare fuori per poi riporre le tue radici qui. Che clima hai trovato a Catania e perché hai deciso di restare?
La mia famiglia è di Catania e la amo perché ci abito; è impossibile non amarla. Parto spesso per lunghi periodi per organizzare e avviare le produzioni dei miei film. Mi manca quando sono fuori, ma la porto sempre con me. Ho scelto le zone etnee come teatro dei miei film perché lo meritano. In realtà, meriterebbero di essere teatro di tanti film. Sto girando un film drammatico sull’Etna in coproduzione con due società statunitensi che finirò nei prossimi mesi. Gli americani amano la Sicilia quanto me. Spesso e volentieri mi propongono di girare da noi per alcune produzioni che sto seguendo in prima linea. Il Vulcano, tutta la Sicilia, è affascinante e merita.
3. Quali sono tutti i luoghi del film? Facilmente riconoscibili sono stati la biblioteca di San Pietro Clarenza e Pedara e i paesaggi dell’Etna. E perché li hai scelti?
Il film è stato girato quasi interamente in Sicilia. Alcune riprese sono state fatte a Toronto e a Londra, ma gran parte del film è girato a Catania. L’interno dell’ospedale, che si vede in una scena del film, è l’ospedale Cannizzaro di Catania. Ringrazio l’azienda ospedaliera che ci ha concesso le autorizzazioni per girare all’interno e soprattutto la Film Commission di Catania che ci ha aiutato a trovare le location giuste, tra cui anche questa. C’è anche la storica biblioteca Zelantea, che si trova ad Acireale, patrimonio della nostra terra, di inestimabile valore culturale. Ringrazio l’accademia degli Zelanti e la direzione che la gestisce che ci ha concesso di poter girare lì dentro.
4. Come nasce la trama del film? Ci sono degli echi soggettivi, come ad esempio episodi, personaggi ed elementi che richiamano il tuo vissuto?
Nel caso de “Il Carillon” ho trovato affascinante le storie legate agli oggetti infestati. Si è parlato tanto di oggetti come quadri, bambole, carillon infestati da presenze e, anche se è un argomento che è stato ripetuto molto in questi ultimi anni, ho constatato che, in realtà, per quanto si possa dire il contrario, non ci si stanca mai del tutto. C’è sempre qualcosa che ti spinge a voler vedere un film che tratta di argomenti simili, anche se ne abbiamo visti a centinaia. Proprio perché nessun film può dare una spiegazione a questi eventi, ci piace semplicemente fantasticare su delle storie che per alcuni sono frutto della fantasia, per altri invece no. Nelle storie che ho scritto non ci sono legami personali. Qualcosa l’ho sentita, qualche leggenda raccontata da amici o trovata per caso, ma nessun fatto personalmente vissuto. Grazie al cielo! Il mio film affronta anche temi particolari, come l’elaborazione del lutto da parte della piccola protagonista, l’incomunicabilità tra la zia e la nipote, la corsa contro il tempo prima dell’inevitabile. Nelle emozioni dei personaggi che cerco di trasmettere al pubblico traggo ispirazione dal mio vissuto, ma credo che qualsiasi scrittore un po’ faccia la stessa cosa.