Esiste una leggenda in Oriente, particolarmente diffusa in Giappone e Cina, secondo cui la Luna sarebbe abitata da una creatura mitologica, il cosiddetto Coniglio di Giada, o Coniglio d’Oro o più semplicemente Coniglio Lunare, visibile tra gli avvallamenti del corpo celeste nei momenti di plenilunio e identificabile come un coniglio seduto sulle zampe posteriori a fianco di un pestello da cucina.
Ma dall’altra parte del mondo, per la precisione nella nostra Italia, uno strano personaggio triestino chiamato Filippo Zamboni, attivo in molteplici campi, tra cui la scienza ipnotica e quella spiritica, in un saggio del 1912 affermava che, sempre sul suolo lunare ben illuminato durante le notti di Luna piena, fosse possibile vedere due amanti immortalati nell’atto di baciarsi.
Nel 1976, invece, fece scalpore una foto scattata dalla sonda spaziale Viking 1, raffigurante una zona precisa presente nella regione di Cydonia, sul pianeta Marte. La particolarità della foto era che in essa appariva un altopiano dalla conformazione molto simile a un volto umano. Nonostante la foto e il suo misterioso significato furono del tutto smentiti dalle successive immagini della zona scattate da altre due sonde nel 1998 e nel 2001, in una parte dell’immaginario popolare continua ancora a esserci una faccia scolpita tra le montagne del Pianeta Rosso.
Questo perché non possiamo sfuggire ai meccanismi della nostra mente e in particolar modo allo strano fenomeno che ha causato e causerà sempre questi e altri fraintendimenti nell’interpretazione del mondo che vediamo, questo fenomeno è chiamato: pareidolia.
La pareidolia è la tendenza del cervello a riconoscere volti in situazioni ed immagini disordinate. Sembrerebbe che la necessità umana di vedere occhi, nasi e bocche dovunque, derivi dall’esigenza ancestrale di identificare un predatore mimetizzato.
Ma forse c’è anche un’altra spiegazione: vedere un volto sulla facciata di un palazzo, in mezzo all’ecografia di una massa tumorale, o tra le rocce di un pianeta disabitato vuol dire, infatti, anche voler attribuire e riconoscere in queste cose la sagoma di una qualche emozione a noi familiare, il bisogno di trovare umanità in tutto ciò che ci circonda, di cercare sempre di trovare un’anima, anche in luoghi, oggetti e soggetti che evidentemente ne sono sprovvisti.