«Noi non siamo più il loro bancomat. Noi non li paghiamo più. E’ una classe di nominati, di ladri. Questo popolo dice “basta”. Li vogliamo licenziare, noi siamo i loro padroni. Questo popolo vi darà la lettera di licenziamento: una, definitiva e senza preavviso»: sono queste le parole di rabbia che un artigiano, appartenente al movimento dei Forconi, ha urlato al microfono questa mattina in Piazza Università a Catania.
Causa della protesta sembrerebbe essere la classe dirigente italiana, accusata di non riuscire a far fronte ai disagi che la crisi ha portato con sé. Ma abbiamo chiesto allo stesso artigiano, che invitava i passanti ad unirsi allo sciopero: perché i Forconi protestano? Essi non solo richiedono le dimissioni di chi si trova ai piani alti, ma il loro sogno idilliaco prevede anche che il premier, Enrico Letta, si rechi a Bruxelles, comunicando alla Commissione Europea che l’Italia rifiuta tutti i trattati. Lo scopo di tutto è «riprendersi la sovranità popolare e monetaria». Continuiamo a dialogare con l’artigiano, domandando se esistono alternative a queste richieste, ma la riposta è netta: non si profila nessun’altra possibilità. I Forconi, memori dell’esperienza precedente, non sono più disposti ad intavolare delle trattative con chi si trova ai piani alti. Piuttosto sembrano convinti di dover andare avanti nella protesta, superando anche i 5 giorni di sciopero, che erano stati previsti. Facciamo inoltre notare ad uno di loro che la prima manifestazione del movimento dei Forconi, svoltasi due anni fa, ha recato molti più disagi ai cittadini siciliani che alla classe dirigente, i Forconi ammettono difatti che la situazione era un po’ sfuggita di mano: «La protesta è diventata più grossa rispetto a quello che gli organizzatori si aspettavano». E allora insistiamo, sostenendo che lo sciopero aveva procurato danni economici non indifferenti, ma i Forconi replicano: «A lamentarsi sono stati finti agricoltori, quelli che fanno importare, ad esempio, le arance dal Marocco e le spacciano per siciliane. Se l’agricoltore che fa lo sciopero, si lamenta egli stesso della protesta ci sembra strano. Chi si lamenta è colluso col sistema. Una rivoluzione costa sempre dei sacrifici e un prezzo da pagare».
La causa potrà essere giusta o sbagliata, condivisa o rifiutata, ma il movimento dei Forconi dovrebbe domandarsi se è il caso ancora una volta di chiedere dei sacrifici ai cittadini italiani, nell’incertezza del cambiamento.