Sicilia, 219 mila giovani emigrati in 20 anni: l’allarme. Secondo Confindustria, tra il 2003 e il 2023 la Sicilia ha perso una “città di giovani”. Solo uno studente su sei resta a studiare nell’Isola. È un dato che fa riflettere — e che pesa come un macigno sul futuro della Sicilia.
Negli ultimi vent’anni, oltre 219 mila giovani under 34 hanno lasciato l’Isola in cerca di lavoro o opportunità formative altrove. Un’emorragia silenziosa ma costante, che secondo Confindustria Siracusa equivale, per numero di abitanti, a due città come Siracusa completamente svuotate dei propri giovani.
A lanciare l’allarme è Gian Piero Reale, presidente degli industriali siracusani, intervenuto all’Educazione & Open Innovation Forum, un incontro dedicato al rapporto tra formazione e impresa.
Una generazione in fuga
“Nonostante una recente crescita dell’occupazione, l’emigrazione giovanile rimane un problema significativo”, spiega Reale, illustrando i dati elaborati da Confindustria.
Non si può più fingere che sia colpa del destino o di un Nord che tutto inghiotte. La verità è più scomoda: la responsabilità è anche nostra, della politica che scegliamo e di quella che sopportiamo, delle istituzioni che non pretendiamo migliori, di quella rassegnazione civile che è diventata una forma di complicità. Ogni volta che ci accontentiamo del poco, ogni volta che tacciamo per quieto vivere, consegniamo la nostra terra all’irrilevanza
Dal 2003 al 2023, il numero di giovani emigrati è aumentato in modo costante, con un fenomeno che coinvolge sempre più laureati e diplomati ad alta qualificazione.
Nel 2003 solo l’8% dei ragazzi che lasciavano la Sicilia aveva una laurea; oggi quella percentuale è salita al 42%.
In altre parole, la Sicilia perde ogni anno non solo forza lavoro, ma anche capitale umano qualificato, formato spesso proprio nelle università dell’Isola.
«C’è un silenzio che grida più di mille parole: è quello dei ragazzi che fanno la valigia e partono, portando con sé più sogni che certezze. Ogni treno che lascia la Sicilia è una ferita che non si rimargina; ogni volo verso il Nord o verso l’estero porta via speranze, intelligenze, energie. E intanto, nei paesi dell’interno, restano solo gli anziani, le scuole vuote, i cortili silenziosi, le case chiuse. È la Sicilia che muore lentamente, senza guerre, senza rumore, ma con la stessa devastazione di una lunga carestia morale». Così, in una nota, commentano l’abbandono di molti giovani della Sicilia Vicky Ammendolia (SD Socialdemocrazia)
Università siciliane: saldo migratorio in rosso
L’altra faccia del problema è il salto migratorio degli studenti universitari, anche questo in netto calo. Nel 2023, su oltre 32 mila giovani siciliani che si sono iscritti a un ateneo, solo 5.200 hanno scelto di restare in Sicilia.
Ciò significa che più di 27 mila studenti hanno varcato lo Stretto per frequentare università del Centro-Nord o estere, spesso senza fare ritorno una volta terminati gli studi. Un fenomeno che, oltre a indebolire il tessuto accademico isolano, sottrae al territorio nuove energie e idee, creando un vero e proprio vuoto generazionale.
Si è scelto di “tamponare” la disoccupazione, non di generare occupazione. Le politiche attive sono rimaste frammentate, i centri per l’impiego inadeguati, le agenzie regionali piegate alla logica della rotazione clientelare. Gli incentivi alle imprese raramente hanno premiato l’innovazione o la stabilità contrattuale: il lavoro è stato trattato come un costo da comprimere, non come un investimento da valorizzare
Imprese, scuola e università: un’alleanza necessaria
Per Reale, la chiave per invertire questa tendenza passa dal dialogo tra aziende, scuola e università.
«Serve creare un ecosistema formativo e produttivo capace di offrire opportunità concrete ai giovani laureati e non — ha sottolineato — valorizzando le competenze sul territorio e migliorando la competitività delle imprese».
L’obiettivo è chiaro: trattenere i giovani in Sicilia, offrendo prospettive professionali reali e percorsi di crescita che coniughino innovazione, formazione e occupazione.
Un modello che in altre regioni italiane ha già dato risultati, e che potrebbe rappresentare una via d’uscita anche per il Mezzogiorno.
L’emigrazione giovanile non è solo un fenomeno economico: è anche un problema sociale e demografico. La fuga dei giovani contribuisce a un progressivo invecchiamento della popolazione, con effetti diretti sulla natalità, sul mercato del lavoro e sulla tenuta del welfare locale.
Secondo Confindustria, questo circolo vizioso rischia di «compromettere la qualità e la formazione della classe dirigente futura», rendendo la Sicilia sempre meno competitiva nel lungo periodo.













