Post Social e docente sotto accusa. Un’ondata di indignazione ha travolto il mondo accademico dopo le dichiarazioni scioccanti di un professore ordinario e figura storica del Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Palermo. In un post pubblicato su Facebook, il docente ha invitato esplicitamente a “ritirare l’amicizia su Facebook agli ebrei“, anche a quelli che si dicono critici verso Israele, accusandoli di mentire e di essere complici del “mostro” che starebbe alimentando l’“Olocausto palestinese”. Parole durissime, pronunciate in un momento già segnato da tensioni internazionali e sensibilità alle stelle, che hanno scosso profondamente non solo il capoluogo siciliano, ma l’intera comunità universitaria dell’isola. Non si tratta di una semplice polemica: qui è in gioco il confine tra libertà di espressione, odio ideologico e responsabilità etica.
L’intervento del governo e la posizione dell’ateneo: “Parole inaccettabili”
La reazione non si è fatta attendere. La ministra dell’Università Anna Maria Bernini è intervenuta direttamente, contattando telefonicamente il rettore dell’Ateneo palermitano, Massimo Midiri, per affrontare la gravità dell’accaduto. In un messaggio pubblico la ministra ha definito le parole del professore: “Inaccettabili e offensive, non solo verso il popolo ebraico ma verso chiunque creda nella convivenza civile e nel rispetto tra individui”.
Midiri, dal canto suo, ha preso immediatamente le distanze dal post del docente, definendolo: “Un’ iniziativa personale culturalmente pericolosa e lontana dai principi che ispirano l’università di Palermo”.
Allo stesso tempo, il rettore ha ricordato che l’ateneo ha più volte condannato le azioni del governo israeliano a Gaza, ribadendo la più decisa opposizione e la più aspra denuncia contro la prosecuzione di un conflitto che continua a ledere i diritti umani e a colpire programmaticamente un’intera popolazione, ma ha anche ribadito che il dissenso non può mai degenerare nell’esclusione o nella discriminazione etnica. La questione, insomma, è diventata un caso istituzionale, e rischia di avere conseguenze anche formali.
Un post che divide
L’intervento del professore ha diviso anche gli ambienti universitari, dove si mescolano reazioni di condanna netta, tentativi di comprensione e un forte senso di imbarazzo. Da più parti si sottolinea come le parole del docente universitario non siano soltanto inappropriate, ma pericolosamente generalizzanti. Invitare al boicottaggio sociale di individui in base alla loro identità etnica, anche se con motivazioni politiche, rievoca dinamiche che l’Europa ha già conosciuto in passato e che il mondo accademico ha il dovere morale di contrastare. C’è chi invoca la libertà d’espressione del singolo docente, ma molti fanno notare che un professore universitario, specie se autorevole, non parla mai “a titolo personale”: le sue parole hanno peso, costruiscono senso, generano impatto. Ecco perché questa vicenda interroga profondamente le università non solo su ciò che si può dire, ma su come e in che contesto lo si debba fare.
Non solo Palermo: un messaggio per tutte le università Italiane
Sebbene l’episodio sia avvenuto a Palermo, le sue implicazioni travalicano i confini cittadini. L’intera rete delle università Italiane — da Catania a Messina, da Enna a Trapani, da Palermo a Milano — si trova oggi di fronte a un bivio. Come gestire i casi in cui libertà accademica e linguaggio discriminatorio si intrecciano pericolosamente? Qual è il ruolo dell’università di fronte ai grandi drammi geopolitici contemporanei?
Il mondo accademico deve essere un luogo di confronto, non di chiusura, e soprattutto un baluardo contro ogni forma di razzismo mascherato da impegno civile. Le parole del professor hanno sollevato un polverone, ma forse possono aprire un dibattito più ampio sul valore dell’etica pubblica, sulla responsabilità di chi educa e sulla necessità di costruire ponti anche in tempi di guerra.













