Nel cuore pulsante della Sicilia, la Pasqua è molto più di una celebrazione religiosa: è un viaggio nel tempo, una tragedia greca con finale di luce, un’esperienza collettiva in cui ogni paese mette in scena la propria versione della passione, morte e resurrezione di Cristo. A Catania e nei centri della sua provincia, la Settimana Santa è teatro, poesia, devozione e folklore. Ogni borgo ha un linguaggio liturgico unico, eppure tutti si muovono sulle stesse coordinate: commozione, attesa e rinascita.
Catania: il silenzio eloquente delle processioni
Nel capoluogo etneo, la Pasqua si celebra in modo più intimo ma non meno intenso. Le processioni del Venerdì Santo sono tra i momenti più toccanti: partono dalla chiesa del SS. Crocifisso della Buona Morte e si snodano tra i vicoli del centro storico, con confraternite incappucciate, bande musicali e statue secolari.
Catania ha un suo tempo, un suo passo lento: il dolore si muove tra le pietre laviche, tra le luci tremolanti dei ceri e le marce funebri che tagliano il silenzio. È una spiritualità sommessa ma viscerale, che unisce generazioni, tra rituali antichi e sguardi moderni.
Giovedì e Venerdì Santo: Il dolore della Vergine e la Passione di Cristo
Durante il Giovedì Santo, i fedeli si recano nelle chiese per la cosiddetta “visita ai sepolcri” (“i Sèpulcri“): altari decorati con fiori, candele e germogli di grano, che simboleggiano la vita e la speranza nella Resurrezione. Si visitano in numero dispari, di solito sette chiese, per completare il percorso spirituale.
Nel centro storico e in vari quartieri si svolgono processioni molto partecipate, come quella del Cristo Morto e della Madonna Addolorata, accompagnate da marce funebri suonate dalle bande locali. La Madonna viene portata per le vie con un manto nero e il volto segnato dal dolore.
A Catania, una delle più antiche è quella organizzata dalla Confraternita di San Giuseppe al Transito, che dal 1800, ogni Venerdì Santo esce per la città con le statue del Cristo Morto e della Vergine.
La Domenica di Pasqua: esplosione di luce e gioia
Molti quartieri, come Picanello, San Cristoforo e Ognina, inscenano la tipica “Pace” o “Incontro”: una breve ma intensa rappresentazione dell’incontro tra la Madonna Addolorata, ancora vestita di nero, e Gesù Risorto. Quando la Vergine lo riconosce, getta via il velo nero e indossa un manto celeste o bianco: è il simbolo della fine del lutto e della rinascita.
Durante l’“Incontro”, è comune l’uso di colpi di cannone a salve, fuochi d’artificio, il volo di colombe bianche e cori di bambini vestiti da angioletti.
San Gregorio di Catania: La Pasqua tra devozione e comunità
San Gregorio di Catania è un comune collinare alle porte del capoluogo etneo, affacciato su un panorama che spazia dall’Etna al mare. Nonostante le sue dimensioni contenute, il paese si distingue per la forza delle sue tradizioni religiose, vissute con un senso profondo di appartenenza. La Pasqua, in particolare, è il momento in cui la dimensione spirituale e quella comunitaria si fondono in modo unico.
Una Pasqua che coinvolge tutti
Qui, la Settimana Santa è parte integrante del tessuto sociale. Non si limita alla ritualità religiosa, ma diventa un’occasione di condivisione, in cui ogni cittadino, dal più giovane al più anziano, sente di avere un ruolo. Le celebrazioni sono vissute con partecipazione sincera, mai solo formale.
I momenti centrali includono:
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Domenica 13 aprile; la benedizione delle palme, accompagnata da piccoli cortei di bambini che portano rametti intrecciati a mano, decorati con fiocchi, ulivo e alloro.
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Venerdì 18 aprile; la Via Crucis, che si snoda tra le vie del Paese in un silenzio rotto solo dai canti liturgici e dalla voce del sacerdote, seguito dai fedeli con candele accese.
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Il Sabato Santo del 19 aprile, con la Veglia Pasquale, è il momento più emozionante: si parte dal buio della Chiesa, per arrivare alla luce, alla proclamazione del “Cristo è risorto”, in un crescendo che commuove ogni anno.
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La Domenica di Pasqua, del 20 aprile, culmina nella celebrazione eucaristica e, in un simbolico “incontro” tra le statue della Madonna e del Cristo Risorto, all’alba sparo di colpi di cannone a salve e scampanio solenne, tradizione diffusa in molti comuni siciliani e che a San Gregorio viene rievocata con semplicità ma grande intensità.
- Lunedi 21 aprile, “A fera do l’uni“; giornata solenne del Santo Patrono ” Gregorio Magno“.
Le parole del Sindaco
Il Sindaco Sebastiano Sgroi, evidenzia sempre la dimensione etica della festività. Per lui, Pasqua è «un tempo in cui la politica deve farsi custode di speranza», rilanciando i valori della collaborazione, dell’inclusione, del rispetto per gli anziani e della valorizzazione dei giovani.
“San Gregorio è una comunità viva, dove tradizione e futuro possono convivere. Pasqua ci insegna che la luce si costruisce insieme, giorno dopo giorno.”
San Gregorio deve il suo nome a San Gregorio Magno, Papa e dottore della Chiesa, che ne è anche il Patrono. La sua posizione strategica tra Catania e l’Etna l’ha resa nei secoli luogo di villeggiatura aristocratica, ma anche rifugio sicuro per chi cercava un senso di comunità vero, fatto di piccoli gesti e grandi valori.
Durante la Pasqua, questa doppia anima del paese — colta e popolare — si riflette nei riti, che uniscono solennità e semplicità, spiritualità e calore umano.
Adrano: la Diavolata, tra sacro e spettacolo
Se Catania è il raccoglimento, Adrano è l’esplosione teatrale. Qui la Pasqua è spettacolo sacro popolare. Dopo giorni di intensa religiosità – dalla Via Crucis vivente alla processione del “Cristuzzu” – è la Domenica di Pasqua a lasciare senza fiato. Alle 12:00 in punto, nella piazza centrale, va in scena la Diavolata: una lotta scenica tra bene e male, con figuranti mascherati da demoni e angeli, effetti scenografici, e un crescendo culminante nella vittoria della luce. A seguire, l’Angelicata e la “Pace”, che riporta armonia tra cielo e terra. Questo ciclo liturgico-artistico, che coinvolge centinaia di cittadini e spettatori, è unico in Italia.
Un’opera del ‘700 tra poesia e teologia
La Diavolata è un dramma sacro scritto nella seconda metà del XVIII secolo dal poeta e sacerdote adranita Anselmo Laudani. Il titolo originale era La Resurrezione, e il testo – in dialetto siciliano – è un gioiello di letteratura allegorica che intreccia simbologia religiosa, riflessione morale e teatralità popolare.
La composizione si divide in due atti principali:
- La Diavolata, ambientata in uno scenario infernale, incentrata sullo sconvolgimento provocato nei demoni dalla resurrezione di Cristo.
- L’Angelicata, che rappresenta i l trionfo del Cielo, con l’incontro tra Maria e il Figlio risorto, tra cori angelici e visioni celestiali.
La leggenda vuole che i diavoli, protagonisti della prima parte del dramma, fuoriescano direttamente dalla bocca dell’Etna, ritenuta anticamente la porta degli inferi.
La Diavolata
La scena si apre in un’ambientazione cupa, con uno sfondo dipinto a mano che raffigura una selva infernale. Al centro campeggia il volto di Lucifero, emblema della dannazione e dell’orgoglio caduto.
Entra in scena Lucifero, l’angelo più bello, decaduto, che cammina smarrito tra le fiamme dell’inferno riflettendo sulla propria caduta e sull’evento che ha scosso gli abissi: la resurrezione di Cristo. Non riesce a spiegarsi come un Dio possa essere morto e risorto: è l’inizio della sua crisi.
Segue l’arrivo degli altri due demoni, Astaroth e Belzebù, anche loro attoniti davanti a quella che appare come una disfatta del regno delle tenebre.
La Morte e l’Umanità
A irrompere sulla scena è la Morte, impersonata da un attore mascherato da scheletro, simbolo eterno del potere sulla vita umana. Con lei entra in scena anche l’Umanità, rappresentata da una bambina vestita di bianco. Tra le due si apre un dialogo memorabile, il cui culmine è la frase più iconica del dramma:
“Superba, ho vinto già, mi segui invano, invan cerchi ferirmi. A’ danni miei, l’arco tuo più non val!”
Con queste parole, l’Umanità proclama il trionfo della vita eterna, lasciando la Morte impotente.
L’arrivo dell’Arcangelo Michele
Proprio quando l’Umanità viene imprigionata dai demoni, irrompe l’Arcangelo Michele, raffigurato da un bambino in armatura d’oro. Con spada alla mano, libera la bambina e sconfigge i demoni, costringendoli a inginocchiarsi e gridare:
“La speranza dell’uomo, viva Maria!”
Uno dei momenti più emozionanti è quando la Morte spezza il proprio arco – simbolo della fine del suo potere – e lo getta verso il pubblico: un gesto catartico, accolto ogni anno da un boato di applausi.
La luce dopo le tenebre
Dopo l’inferno, la scena si trasforma: si entra nel regno celeste con l’Angelicata, seconda parte dell’opera. Qui, angeli e santi cantano la gloria del Risorto, Maria viene incoronata Regina del Cielo, e la città ritrova la speranza e la gioia.
I bambini, vestiti da angeli, recitano poesie e inni di esultanza che emozionano anche il cuore più distante.
Dopo la rappresentazione, ai piedi del maestoso Dongione normanno, va in scena uno spettacolo pirotecnico, seguito dalla tradizionale “Pace”. Si tratta dell’incontro tra le statue del Cristo Risorto e della Madonna, che avviene nella piazza Santa Chiara, in un tripudio di luci, canti e campane.
È il culmine della Pasqua Adranita: il Male è sconfitto, la Morte è vinta, e l’Umanità rinasce nella luce della Resurrezione. Un messaggio di speranza universale, che ogni anno si rinnova grazie all’amore e alla passione degli abitanti di Adrano.
Biancavilla: la fede delle confraternite
A pochi chilometri, Biancavilla si distingue per la solennità dei riti, curati meticolosamente dalle confraternite locali. La processione del Venerdì Santo è tra le più lunghe e suggestive, con i simulacri del Cristo morto e della Madonna Addolorata che percorrono le vie principali, accompagnati da canti tradizionali e momenti di preghiera.
La città si trasforma: balconi addobbati con coperte ricamate, altari allestiti in casa, e silenzi carichi di significato. Qui la Pasqua è un atto comunitario e familiare, radicato nel tessuto sociale.
Paternò: la messa dell’alba
A Paternò, le celebrazioni iniziano già la domenica precedente con la processione dell’Ecce Homo e culminano con la Messa dell’alba della Domenica di Resurrezione. Il momento più toccante è l’Incontro tra Maria e Gesù Risorto, celebrato con un’esplosione di petali e fuochi pirotecnici. Le statue vengono trasportate a spalla tra ali di folla, mentre la città si risveglia in un crescendo emozionale.
È una Pasqua che vibra di energia e pathos, capace di unire il fervore religioso con l’entusiasmo della festa popolare.
Palagonia: la passione è teatro greco
Nel paese di Palagonia, la Settimana Santa si distingue per le sue processioni notturne, accompagnate da canti in dialetto arcaico, veri e propri lamenti funebri che ricordano i cori greci. Ogni quartiere contribuisce all’allestimento, rendendo il tutto un’opera corale. I fedeli sfilano in abiti d’epoca, con lanterne e croci, in un’atmosfera di intensa spiritualità.
La domenica mattina, il Paese esplode di gioia con la “Svelata”: il velo nero della Madonna viene sollevato al passaggio del Risorto, tra gli applausi e i rintocchi festosi della campana.
Trecastagni e il Monte Calvario
A Trecastagni, alle pendici dell’Etna, la Pasqua si vive anche come rito di salita e di fatica. Il Venerdì Santo, i fedeli scalano il Monte Calvario in pellegrinaggio, portando con sé croci e simboli votivi. Un cammino silenzioso e commovente, che culmina nella celebrazione della Passione sul sagrato della piccola chiesetta in cima.
L’alba della domenica, invece, si colora di speranza: la statua di Cristo Risorto viene portata in trionfo, seguita da quella della Madonna, in un abbraccio simbolico che ricompone il dolore in gioia.
Per ulteriori informazioni su cosa fare a Catania la settimana di Pasqua leggi l’articolo Pasqua 2025 a Catania e provincia: cosa fare e dove andare.
“Cuddura cu l’ova”; il dolce della Pasqua Siciliana
Molte famiglie si tramandano usanze pasquali antiche: dalla preparazione delle “cuddure cu l’ova” — dolci di pasta frolla decorati con uova sode — alle benedizioni dei pani e delle tavole, fino all’allestimento degli “altari della reposizione” il Giovedì Santo, ricchi di simboli vegetali, fiori, spighe e candele.
La storia
La “cuddura cu l’ova” è un dolce pasquale siciliano dalle origini antiche e significative. Il termine “cuddura” deriva dal greco kollura, che indicava un piccolo pane circolare, spesso offerto durante le festività religiose. In Sicilia, questo dolce è diventato un simbolo della Pasqua, rappresentando la rinascita e la speranza. Tradizionalmente, le “cuddure” venivano preparate con ingredienti semplici come farina, zucchero e uova, e decorate con uova sode, spesso in numero dispari, per simboleggiare la vita e la fertilità. La storia narra che le “cuddure cu l’ova” venivano preparate dalle giovani fidanzate, portate in Chiesa a benedire il sabato Santo, e poi regalate ai fidanzati la Domenica di Pasqua, come simbolo di devozione e unione.
Ogni paese ha la sua variante, ogni Nonna la sua forma preferita: colombe, cestini, cuori intrecciati. Decorati con glassa, zuccherini o lasciati al naturale, questi dolci sono messaggeri di affetto e auguri che viaggiano di casa in casa.
Cu mancia cuddura, avi l’amuri.” (Chi mangia cuddura, riceve amore). Un modo per dire che la Pasqua è anche tempo di affetto e condivisione.
Un patrimonio vivo
Le celebrazioni pasquali in provincia di Catania non sono eventi da calendario, ma tradizioni vissute, tramandate con passione e custodite con orgoglio. Nonostante i cambiamenti sociali, i social media e la modernità, la Pasqua qui resiste come rito identitario, momento di ritorno alle radici, festa dell’anima e del cuore.
Ogni paese ha la sua voce, ogni voce racconta la stessa storia: quella di un popolo che sa commuoversi e rinascere ogni anno, con la forza della fede e la poesia della sua cultura.
E in quel momento, tra il suono delle campane, un velo che cade e un cielo che si accende, capisci che la Pasqua qui non è solo un rito: è un abbraccio tra generazioni, un respiro profondo della terra, una promessa di rinascita che ogni anno torna a farsi viva, tra la gente, nel cuore.
Perché in Sicilia, la fede ha il sapore delle cose vere.












