Come ogni anno, a Sanremo c'è spazio per l'attualità oltre che per la musica e nel corso della prima serata la co-conduttrice Chiara Ferragni ha parlato di violenza sulle donne, portando sul palco le rappresentanti dell'Associazione D.i.Re: tra di loro anche la Presidente del Centro Antiviolenza Thamaia di Catania, raggiunta dai microfoni di LiveUniCT.
Se c’è un evento italiano che unisce tutto il Paese e molto spesso coinvolge anche l’estero questo è proprio il Festival di Sanremo. Giunto alla 73esima edizione, Sanremo 2023 è arrivato puntuale come sempre nel mese di febbraio e ha rappresentato un ritorno alla normalità, dopo gli anni della pandemia.
Trattandosi di un evento di portata internazionale, il Festival della Canzone Italiana è sempre andato oltre la mera gara canora, portando sul palco e all’attenzione di tutti gli spettatori uno spaccato della società italiana contemporanea. Per questo motivo, ogni anno a Sanremo si affrontano sempre temi importanti e attuali, con ospiti di rilievo che portano le proprie testimonianze davanti al pubblico. E questo è quello che è successo anche quest’anno: infatti, nel corso della prima serata di Sanremo, la co-conduttrice Chiara Ferragni, ha ricavato un momento sul palco dedicato alla sensibilizzazione sul tema della violenza sulle donne.
Per parlare di questo tema, Ferragni ha portato con sé sul palco delle rappresenti dell’Associazione D.i.Re., “Donne In Rete contro la violenza”, la quale riunisce oltre “82 organizzazioni di donne che affrontano il tema della violenza maschile sulle donne secondo l’ottica della differenza di genere”. Tra le “donne forti, che aiutano ogni giorno altre donne ad essere forti”, come la stessa Ferragni ha sottolineato, era presente anche Anna Agosta, presidente dell’Associazione Thamaia ONLUS di Catania e Consigliera Nazionale dell’Associazione D.i.Re, raggiunta dai microfoni di LiveUniCT.
Com’è nata la collaborazione con Chiara Ferragni e l’intervento dell’Associazione D.i.Re. a Sanremo?
“La collaborazione con Chiara Ferragni nasce da una sua scelta di partecipare al progetto con l’associazione nazionale D.i.Re. È stata proprio lei a contattarci, riconoscendo l’importanza della rete nazionale dei Centri Antiviolenza, di cui Thamaia, la mia associazione, è socia fondatrice.
La scelta di Chiara Ferragni di devolvere l’intero cachet per le serate di Sanremo all’Associazione D.i.Re. ha l’obiettivo di sostenere gli sportelli lavoro dei Centri Antiviolenza con maggiori difficoltà. Infatti, spesso le donne in uscita dalla violenza hanno perso il lavoro o non hanno mai avuto modo di accedere al mondo del lavoro a causa della violenza. Quindi l’obiettivo è quello di favorire ancora di più l’empowerment delle donne, passando dal loro sostegno all’autonomia lavorativa.
La collaborazione è stata annunciata il 12 gennaio con una conferenza stampa ed è stata promossa attraverso tutti i nostri canali. A tal proposito, Ferragni ha voluto coinvolgerci in due momenti importanti: nello shooting con Vanity Fair e alla prima serata di Sanremo, proprio per dare maggiore risonanza a questo momento di condivisione”.
Quanto è importante per la causa della violenza contro le donne una “vetrina” come quella del Festival di Sanremo e la collaborazione con un personaggio di rilievo come Chiara Ferragni?
“Questo impegno per noi ha avuto un’importanza fondamentale, perché ci sta permettendo di raggiungere quante più donne e ragazze possibili. Infatti, una testata come Vanity Fair e un palco come quello di Sanremo rappresentano inevitabilmente una cassa di risonanza fortissima. E questo è stato evidente da subito, dato che abbiamo tantissimi nuovi contatti, nuovi followers sulle nostre pagine, e questo è per noi l’obiettivo principale: dare l’informazione che esiste una rete nazionale di centri antiviolenza, che quasi tutte le città italiane sono coperte, che questi centri lavorano con una metodologia che si basa sulla relazione tra donne e che le donne vengono ascoltate, non giudicate.
Inoltre, alle donne che si rivolgono a noi è garantito l’anonimato, riservatezza, gratuità, che sono tutti principi fondamentali, così come avvertiamo la necessità di ribadire alle donne che noi le crediamo e che siamo disposte ad aiutarle sempre, e poterlo fare da quel palco è stato davvero importante”.
Quali sono stati gli effetti che avete notato dopo la vostra partecipazione a Sanremo?
Oltre ad un aumento netto dei followers alle nostre pagine, abbiamo avuto tanti ritorni di apprezzamento, di complimenti. Tuttavia, non sono mancate le critiche: infatti, sono state diverse le polemiche attorno alla decisione di Chiara Ferragni di divulgare la notizia del suo gesto di beneficienza nei confronti dell’associazione D.i.Re. e a tal proposito, noi riteniamo che chi fa beneficienza deve anche avere la libertà di poterlo dire.
E anzi, questo può rappresentare un esempio, perché magari qualche azienda presente sul territorio, spinta dall’iniziativa di Ferragni potrebbe scegliere di sostenere il nostro centro o la Rete, e questo è chiaramente anche un ritorno diretto per le donne che ci chiedono supporto. Infatti, i centri antiviolenza vivono una situazione di precarietà: non abbiamo finanziamenti o convenzioni stabili, e quindi ci sosteniamo con la progettazione, che non sempre c’è, ragion per cui ben venga il sostegno anche dall’esterno. A tal proposito, quasi tutti i centri stanno attivando delle politiche di raccolta fondi e sensibilizzazione e lo abbiamo fatto anche noi con Thamaia, in occasione dei nostri 20 anni nel 2021.
Tuttavia, è fondamentale sottolineare come ci sia stata una risonanza enorme a partire dalla conferenza stampa e ancora nei giorni del Festival: i nostri social, il sito di D.i.Re. e il video della nostra partecipazione a Sanremo hanno avuto tantissime visualizzazioni e un incremento di followers, ma soprattutto un aumento dei contatti da parte di donne che hanno trovato il coraggio di contattarci e chiedere supporto. Proprio su Catania, le operatrici hanno ricevuto moltissime chiamate da donne che ci avevano ascoltato a Sanremo, e questo per noi è veramente importante.
Vuol dire avere avuto l’opportunità di raggiugere tutta una fetta di donne che magari non conoscevano la realtà dei centri antiviolenza, che non sapevano che esistesse una rete nazionale. Poter portare i nostri temi su quel palco è stato veramente fondamentale. Chiaramente non si tratta del nostro contesto, “dell’ambiente” in cui siamo abituate a parlare, però poter “contaminare” anche quel contesto è stato per noi importantissimo.
Durante il vostro intervento al Festival, si è posto l’accento sulle altre forme di violenza sulle donne, che non è solo fisica ma anche psicologica. Quanto è importante la sensibilizzazione su domande quali “perché non l’hai lasciato prima?” e qual è l’impegno dell’associazione D.i.Re a riguardo?
“Noi abbiamo focalizzato l’attenzione su questo da sempre, e Thamaia nello specifico lavora da 20 anni sul tema, quindi gli stessi dati ce lo dicono. Tra le tante donne che subiscono violenza, molte non arrivano mai a subire dal punto di vista fisico. Chiaramente, la violenza fisica è quella verso la quale c’è un vero e proprio attaccamento morboso, quella che fa più notizia, narrata con immagini di donne rannicchiate in un angolo con un occhio nero. Ma le donne che subiscono violenza non sono solo quelle.
Anzi, la violenza è sempre un’escalation che parte da un eccesso di gelosia che poi diventa controllo, possesso, violenza psicologica, la quale molto spesso è molto difficile da riconoscere. Si tratta di denigrazioni costanti, sempre più forti e invadenti che diventano quasi la normalità per le donne che la subiscono. E quando queste donne vedono la violenza con l’immagine della donna con l’occhio nero, magari non si riconoscono nemmeno e pensano di non essere vittime di violenza, solo perché questa non ha lasciato segni fisici.
Quindi è fondamentale informare sull’esistenza di varie forme di violenza, e che non esiste solo quella fisica. Abbiamo riscontrato che una donna su tre ha vissuto almeno una volta una forma di violenza: se una relazione iniziasse con uno schiaffo, ognuna di noi avrebbe gli strumenti per porvi fine, ma quando si tratta di un’escalation e la donna si trova coinvolta nella “spirale della violenza” che avanza gradualmente, diventa molto difficile uscirne”.
E per quanto riguarda la violenza economica?
“Per molte donne sussiste anche la violenza economica, quindi il fatto di non essere indipendenti economicamente, che vede nella violenza un’aggravante: infatti, spesso le donne non hanno potuto accedere al mondo del lavoro proprio a causa della violenza. Magari perché stanno con un uomo benestante e si sentono dire che non hanno bisogno di lavorare e che possono dedicarsi alla famiglia, e possibilmente vedono questa situazione come positiva, mentre si tratta di un ulteriore elemento di controllo della donna stessa.
O ancora, la violenza economica riguarda le donne che hanno perso il lavoro a causa della violenza, perché magari hanno smesso di andare a lavoro sentendosi in pericolo, e sono state licenziate. Oppure, donne che hanno deciso di non andare più a lavoro per la vergogna o per le quali la violenza ha provocato delle conseguenze anche sul rendimento lavorativo.
Il 30% delle donne che ci chiamano subisce anche violenza economica e quindi stiamo facendo tutto un lavoro per farla riconoscere, perché prima non veniva assolutamente indagata, anche durante la fase di denuncia da parte delle donne: molte vittime non raccontavano di non avere possibilità di gestire l’aspetto economico della famiglia e, nonostante lavorassero, non erano considerate alla pari rispetto al partner, al quale dovevano chiedere il permesso per fare delle spese. Per esempio, abbiamo avuto casi di donne che si sono rivolte a noi che non sanno neanche a quanto ammontava il loro stipendio perché gestiva tutto il marito, e questo non significa che siano stupide ma è mera violenza economica.
Tuttavia, questo meccanismo di violenza si può spezzare, grazie all’aiuto delle operatrici che rispondono ai centri antiviolenza. Infatti, si tratta di personale altamente formato che ha una grande esperienza riguardo il tema e sa come agire per aiutare le donne senza metterle in difficoltà. Infine, i centri antiviolenza fanno anche un’attività di sensibilizzazione, prevenzione, formazione del personale e attivazione della rete antiviolenza sul territorio: per esempio, Thamaia sul nostro territorio coordina dal 2008 la rete antiviolenza della città metropolitana di Catania per lavorare in sinergia con le istituzioni che possono entrare in contatto con le donne che subiscono violenza, come le aziende ospedaliere, le forze dell’ordine, la magistratura, l’università. Perché ognuno può apportare il proprio contributo, anche piccolo, contro la violenza sulle donne”.
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