Quanto sono davvero internazionali le scuole italiane? Fare un punto della situazione è possibile: il Rapporto 2022 dell'Osservatorio sull'internazionalizzazione delle scuole e la mobilità studentesca molto rivela su partecipazione ai progetti, approccio a tematiche internazionali, atteggiamento dei docenti e aiuti per studenti immigrati. I dati, confrontati anche con quelli relativi al periodo precedente l'avvento della pandemia da Coronavirus.
Indice
Di internazionalizzazione si parla, oggi, come di un elemento fondamentale anche nell’ambito scolastico. Ma di un puro principio o di una realtà concreta si tratta?
L’Osservatorio Nazionale sull’internazionalizzazione delle scuole e la mobilità studentesca, creato nel 2009 dalla Fondazione Intercultura, suole monitorare periodicamente l’Indice di internazionalizzazione, sulla scorta di rivelazioni effettuare da IPSOS.
Recentemente è stato presentato il Rapporto 2022, il tredicesimo, che raccoglie le interviste condotte proprio da IPSOS su un campione di 960 istituti superiori di secondo grado. E molto rivela su progetti messi in atto, lingue studiate e atteggiamenti e partecipazione di insegnanti, studenti e famiglie.
Cosa sarà cambiato, soprattutto, dopo l’avvento della pandemia?
Dal nuovo Rapporto emerge, in primo luogo, che l’offerta linguistica degli istituti della Penisola coinvolti continua ad ampliarsi. In quasi tre quarti delle scuole coinvolte nelle rivelazioni si insegna in ambito curriculare almeno un’altra lingua, oltre l’inglese. Prima fra tutte quelle francese, seguita dallo spagnolo e dal tedesco. Se è vero che, in ambito curriculare, si mira soprattutto alla conoscenza delle lingue europee (per il 70%), bisognerà anche ammettere che è aumentato il numero di istituti che permettono lo studio di lingue extraeuropee. Quali?
Il 19% delle scuole, soprattutto del Centro Italia, ha attivato percorsi bilingue, sia curriculari che non.
Le scuole che hanno dichiarato di aver optato per un potenziamento dell’offerta linguistica equivalgono al ben 68%. Ma questo come è stato attuato? In particolare attraverso ore aggiuntive di insegnamento linguistico (per il 39%) e la presenza di docenti madrelingua (per il 36%, 42% per i licei).
Interessante notare anche come, secondo quanto riportato dai diversi dirigenti scolastici, negli ultimi tre anni in quasi la metà degli istituti (più nello specifico nel 46% dei casi) anche docenti di altre materie abbiano seguito corsi di lingua.
Più lingue straniere insegnate ma meno impiego delle lingue straniere per l’insegnamento di altre materie. In effetti nel 2019 l’insegnamento CLIL aveva riguardato il 72% degli istituti, mentre nel 2022 soltanto il 64% di questi. A compiere, in tal senso, passi indietro sono tutte le tipologie di scuole. Per fare alcuni esempi:
Dove è stato riscontrato questo calo dei numeri? In realtà l’insegnamento CLIL è stato accantonato in tutte le macro-aree della Penisola, ma in particolare al Nord Est e al Sud e nelle Isola, dove tra il 2019 e il 20222 si è passati rispettivamente dal 75% al 65% e dal 71% al 61%.
Dati poco rassicuranti riguardano, in realtà, anche le scuole che invece continuano ad offrire l’insegnamento CLIC: di fatto soltanto il 66% di questi dispone di docenti adeguatamente formati e appena il 23% coinvolge in questo genere di insegnamento insegnanti madrelingua.
La pandemia non avrebbe modificato in peggio il tasso nazionale di scuole che organizzano o aderiscono ad almeno un progetto internazionale (79% nel 2019 contro, 78% quest’anno) ma avrebbe contribuito a ridurre il numero di classi in questi coinvolte (per l’anno scolastico 2018/2019 il 30% del totale, ora appena il 21%).
In realtà, scandagliando i dati, si nota che gli istituti tecnici e professionali e, più in generale, le scuole del Centro e del Sud Italia registrano una diminuzione nel tasso complessivo di partecipazione a questa tipologia di progetti.
Quasi la totalità delle scuole coinvolte in progetti internazionali (il 93%) ha avuto almeno uno studente o un docente all’estero per un periodo che può variare da poche settimane a diversi mesi.
Tuttavia, nel caso in cui si facesse riferimento alla sola mobilità studentesca individuale, si constaterebbe un dimezzamento delle percentuali. Di fatto finora nel 2022 soltanto nel 46% dei casi, un istituto ha o ha avuto almeno uno studente in uscita per programmi di mobilità all’estero, e per almeno tre mesi. Nel 2019, invece, era stata raggiunta quota 54%.
Quello dei programmi di mobilità risulta essere, dunque, un ambito fortemente influenzato dalla pandemia e dalle conseguenti restrizioni. Non a caso l’anno in corso ha visto una riduzione del numero di programmi annuali ed un contemporaneo aumento di quelli semestrali: evidentemente i primi sono stati accorciati a favore dei secondi.
Quali Paesi raggiungono gli studenti italiani? Sono i Paesi anglofoni d’Europa e l’America del Nord a rappresentare le mete più ambite, anche se la seconda scelta di chi frequenta gli istituti tecnici e professionali è più spesso uno dei Paesi europei non anglofoni.
Dopo la pandemia le scuole italiane “interrogate” non hanno soltanto permesso più raramente agli studenti di fare esperienze all’estero, ma anche meno frequentemente ospitato studenti stranieri. Nel 2019 il 28% degli istituti dichiarava la presenza di almeno uno di questi; tre anni dopo soltanto il 19%. I Licei, che più di frequente negli anni hanno proposto e messo in atto tali progetti, sono gli stessi a registrare ore il calo più marcato (-22% rispetto al 2019).
Cambiano i numeri ma non il giudizio dei dirigenti scolastici circa l’efficacia degli scambi individuale: questo resta, in generale, pressoché invariato.
In qualsiasi parte d’Italia si riduce, poi, la percentuale di docenti contrari a questi programmi di mobilità studentesca e pronti, dunque, a ostacolare questi e a dissuadere gli studenti dalla partecipazione.
Cosa si fa, invece, per coinvolgere gli studenti immigrati stabilmente inseriti negli istituti? La maggior parte della scuole che ne include almeno uno (nel 2022 il 76% delle intervistate) ha dichiarato di aver attivato corsi di italiano come seconda lingua. Un dato, questo, che però risulta generico e a cui, dunque, va fatta seguire una necessaria precisazione. Dall’analisi nel dettaglio della situazione nelle diverse aree geografiche, emerge uno scarto netto: l’attivazione di tali corsi ha riguardato l’81% delle scuole al Nord Est, soltanto il 40% al Sud e nelle Isole.
Tra le altre attività messe più spesso in campo per ottenere la piena inclusione di questi giovani, la scelta di trattare legate alle migrazioni nell’ambito dell’insegnamento di educazione civica (o di altre materie).
Meno di un quinto delle scuole, invece, conta la presenza di mediatori linguistici (più negli istituti professionali e, in generale, al Centro Italia e al Nord Est). Infine soltanto nel 12% delle scuole sono state promosse iniziative di conoscenza e condivisione tra famiglie e studenti italiani e stranieri.
Interessante notare che nel 22% degli istituti che sorgono al Sud e nelle Isole non sia stata organizzata alcuna attività.
Soltanto al 19% delle scuole coinvolte nelle interviste va riconosciuto il merito di aver aderito ad almeno un progetto di solidarietà internazionale, per la maggior parte dei casi (il 27%) verso l’Ucraina, a causa del conflitto ancora in atto.
Mentre la mobilità frena, sempre più scuole (dall’85% nel 2019 al 96% nel 2022) si mostrano attente a trattare tematiche interculturali e internazionali, nell’ambito delle lezioni di Educazione civica.
È il massimo a cui si può aspirare? In oltre il 50% delle scuole vige la consapevolezza che studenti, docenti e le famiglie vorrebbero che si facesse di più in merito: tale dato costituisce una chiara risposta.
E non è finita qui. Al momento il 54% degli istituti risulta accreditata Erasmus+, e ha aderito a uno o più progetti nel 2022. Un buon restante 21%, tuttavia, non ha ancora proceduto ma ha intenzione di presentare appena possibile domanda per l’accreditamento.
Sono stati analizzati, fin qui, i dati e, per più attività, notata una battuta d’arresto. Ma non è stato esplicitato – magari soltanto immaginato – che il calo dei numeri, nella maggior parte dei casi, vada fatto risalire alla pandemia e alle conseguenti misure di contrasto.
Quasi tutti i dirigenti scolastici riconoscono gli effetti negativi della pandemia su quantità e qualità dei progetti d’internazionalizzazione. Effetti che il 2022 ha arginato? Il Rapporto 2022 in realtà rivela che, ancora nella prima metà dell’anno, molte attività precedentemente sospese non erano state ancora ripristinate: si toccano punte del 33% negli Istituti Tecnici e, a livello territoriale, il 32% nel Nord Ovest.
Nello stesso periodo, di impatto negativo della pandemia non si sarebbe parlato in pochissimi casi, al massimo soltanto nel 10% (per gli Istituti Professionali).
Nei mesi già trascorsi del 2022, in generale, in un buon 20% di istituti non è stato messo a punto alcun progetto di internazionalizzazione ma la principale causa (35% di casi) risiede ancora una volta nella crisi pandemica globale.
Secondo quanto dichiarato dai dirigenti, rispetto al periodo pre-pandemico, il 28% dei docenti ha diminuito l’interesse verso questo genere di attività e, nel 77% dei casi, proprio per timori legati alla diffusione del Coronavirus.
l mesi all’insegna di regole, divieti e lockdown non avrebbero piegato, invece, l’interesse degli studenti. Superato il periodo più complesso, nei primi mesi del 2022 per il 46% di questi, al contrario, la curiosità e la voglia sarebbero soltanto cresciute.
Ad ogni modo, dopo due anni di pandemia, l’88% degli studenti, il 78% dei dirigenti scolastici, il 70% delle famiglie e il 68% degli insegnanti si è detto abbastanza o molto favorevole ai programmi di mobilità studentesca.
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