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Oggi, 30 maggio, si celebra il World MS Day, ovvero la giornata mondiale della Sclerosi Multipla. La Sclerosi Multipla è una malattia autoimmune che colpisce ogni anno migliaia di persone. La Giornata è stata indetta dalla Multiple Sclerosis International Federation per sensibilizzare sul modo in cui la sclerosi multipla, patologia ancora inguaribile, influisce sulla vita di milioni di persone in tutto il mondo.
In tale occasione abbiamo voluto dare voce a due giovani donne che ogni giorno combattono e “convivono” con questa cara amica.
Cos’è la Sclerosi Multipla
La Sclerosi Multipla è una malattia cronica: al momento non esiste una cura definitiva, ma sono disponibili numerose terapie che modificano il suo andamento, rallentandone la progressione. La Sclerosi Multipla (SM) può esordire ad ogni età della vita, ma è più comunemente diagnosticata nel giovane adulto tra i 20 e i 40 anni. Tuttavia, secondo quanto riporta l’Associazione italiana Sclerosi Multipla, le persone con SM stimate nel mondo sono circa 2,8 milioni, di cui 1.200.000 in Europa e circa 130.000 in Italia.
I sintomi della sclerosi multipla variano da persona a persona, in base alla diversa possibile localizzazione delle lesioni nel sistema nervoso centrale. Tuttavia, i più comuni sono: fatica, disturbi visivi, disturbi della sensibilità, disturbi intestinali, cognitivi, della coordinazione e del linguaggio.
Dall’esordio alle terapie: la storia di Melissa
La diagnosi di Sclerosi Multipla, nella maggior parte dei casi, avviene in età giovanile. Generalmente si procede subito e si interviene con cure farmacologiche per cercare di “tenere a bada” la malattia. Ma, in alcuni casi quest’ultime non sono sufficienti e si decide di intervenire in diversi modi.
“Il tutto ebbe inizio nel 2011, quando mio fratello si accorse che l’occhio sinistro non superava la linea mediana quando cercavo di volgere lo sguardo a sinistra – esordisce Melissa ai microfoni di LiveUnict -. Tra le varie visite oculistiche/neurologiche e controlli di ogni genere, sono stata indirizzata al mio attuale neurologo e da lì partirono i cicli infiniti di cortisone. Ho provato praticamente tutte le terapie in circolo, ma erano nulle poiché, praticamente, ogni mese ero a fare cortisone per via di una ricaduta”.
“Il mio professore – continua – mi aveva già proposto il trapianto di cellule staminali nel 2018, ma non me la sono sentita sapendo che potevo ‘tamponare’ con qualche farmaco. Ma da novembre del 2018 non ho fatto altro che cortisone ed ero praticamente perennemente stanca. Il professore, l’anno successivo, mi ripropose dunque il trapianto, ed ecco che non esitai ad accettare”.
Il trapianto di cellule staminali
“Appena mi hanno ricoverata – racconta Melissa – hanno iniziato con i prelievi di routine e la chemio per distruggere ovviamente il vecchio sistema immunitario. Allora, vi assicuro che il giorno del trapianto è stato decisamente il più brutto della mia vita. Ovviamente sapevo che non sarebbe stato semplice, ma non così! Mentre iniettavano le mie cellule raccolte e congelate in precedenza, mi sentivo letteralmente morire: restringimento e bruciore assurdo delle vie aeree, pesantezza allucinante al petto e volto in fiamme”.
“Erano tre sacche – continua – dalla durata di un paio di minuti massimo a testa. Nei giorni successivi ero in coma perché ovviamente i valori iniziavano ad abbassarsi; infatti fino a qualche giorno dopo il trapianto ho combattuto con la febbre alta (39/39.5) e passavo la maggior parte del giorno a dormire. Poi hanno proceduto alla trasfusione di piastrine, sempre perché non avevo più nulla in circolo ed iniziato le iniezioni di fattori di crescita per stimolare il replicarsi delle cellule midollari”.
“Per concludere, mi sono svegliata con il cuscino pieno di capelli – dichiara Melissa – dato che non c’erano sintomi credevo non cadessero più, perché nonostante la chemio non è detto che cadano, poi il dottore mi ha detto che ovviamente non è stata aggressiva come quelle utilizzate per i tumori ad esempio. Mi sono fatta portare il rasoio elettrico da mio fratello dato che doveva venire a trovarmi e mi sono fatta “tosare”. Me l’ha suggerito anche l’infermiera per una questione mia di igiene personale perché al massimo mi poteva rimanere qualche ciuffetto sparso”.
“Sono stata sotto profilassi di pillole per circa un annetto – continua – dopo il trapianto e adesso non seguo terapia alcuna. È stato un atto catartico aver ‘messo fine’ a nove anni di veleni in circolo a ruota continua e di buchi da eroinomane. Nove anni di dolori mai palesati se non quando strettamente necessario per amore di non far preoccupare chi mi è più caro. Nove anni in cui, anche senza forze, stringevo i denti sfoggiando un sorriso smagliante non precludendomi nulla. Nove anni in cui in tanti mi sono stati accanto nei momenti più brutti e tanti altri ne hanno plasmato un cavillo per allontanarsi. Il che non mi dispiace affatto, anzi, mi ha fatto riflettere sul fatto che è davvero cosa sacra e giusta non fidarsi di nessuno, soprattutto di chi dice di amarti anche perché grazie alla malattia sei diventata la persona che sei oggi“.
“Chiedere aiuto è legittimo e naturale”
Quando ci si ritrova in giovane età a dover affrontare tante difficoltà ci si sente a volte impotenti davanti alla vinta e si sente il bisogno di chiedere aiuto, di rivolgersi a qualcuno di competente. Perché non dimentichiamo che ricevere una diagnosi di sclerosi multipla a 18 anni non equivale ad andare a fare una passeggiata o essere informati che il bus che si doveva prendere è già passato. Ricevere una diagnosi di SM è come una prova che la vita ti mette davanti, una di quelle sfide che devi essere pronto a combattere e soprattutto a vincere. È come se da un momento all’altro si viene chiamati a lottare e soprattutto a rialzarsi quando ci si ritrova a terra.
“Io ho intrapreso un percorso psicologico qualche tempo dopo la diagnosi – racconta ai microfoni di LiveUnict Asia, una giovane ragazza che convive con la SM -. Credo fermamente che chiedere aiuto sia legittimo e naturale, specialmente quando la propria vita viene stravolta dalla diagnosi. Grazie alla terapia psicologica si impara a non sentirsi in colpa quando i nuovi stili di vita non ci permettono di essere produttivi al 100%, si impara che la stanchezza cronica non è ‘mancanza di voglia di fare’ ma un reale sintomo della Sclerosi, si impara poi ad accettarsi nonostante i limiti e la diversità e questo credo sia fondamentale per il benessere psicologico di ogni individuo“.
Sensibilizzare sulla SM
Parlare di Sclerosi Multipla può aiutare a realizzare che si dovrà convivere con una malattia per il resto della vita e a volte, parlarne pubblicamente aiuta a metabolizzare e a condividere.
“Ho deciso di aprire la mia pagina su Instagram inizialmente per condividere il dolore legato alla diagnosi – racconta Asia – con l’obiettivo però di trovare e costruire speranza e conoscenza attorno alla Sclerosi Multipla. Il mio messaggio è volto soprattutto alla condivisione: sui social si impara a non sentirsi soli, si impara che i dubbi che tu credevi solo tuoi sono invece collettivi e si impara a condividere sia aspetti positivi sia negativi della malattia. Il mio obiettivo primario sui social è sicuramente quello di sfatare tutti i miti che ruotano intorno alla Sclerosi Multipla ma soprattutto quello di creare uno spazio in cui le persone con SM si possano sentire comprese, in cui possano trovare risposta alle loro domande e in cui possano trovare conforto nell’immenso potere della condivisione e del confronto con persone con cui condividono la stessa malattia“.