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Nel corso dei diversi mesi all’insegna del lockdown gli italiani, e non solo, hanno racchiuso la propria esistenza in quattro mura: quelle della propria abitazione. Agli occhi di chi li ha occupati in solitudine, a volte questi spazi domestici sono forse apparsi eccessivamente grandi. Le donne che, al contrario, hanno dovuto condividere ciascuna ora e stanza con soggetti spesso violenti hanno pian piano scoperto come il tentativo di proteggersi dal Coronavirus presupponga, a volte, l’esporsi ad altri pericoli.
L’Istituto Nazionale di Statistica, meglio conosciuto come Istat, ha voluto “fotografare” le conseguenze di quella che è stata per molte una convivenza necessaria ma terribile.
Chiedere aiuto: chi lo ha fatto e in che misura
Dal rapporto realizzato, emerge come la pandemia non abbia fatto altro che accrescere gli episodi di violenza domestica e, con questi, il totale di chiamate al 1522.
Quest’ultimo è il numero di pubblica utilità messo a punto dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, riservato alle vittime di violenza e stalking e attivo gratuitamente ed in ogni momento. Si esplicita che le telefonate si sono moltiplicate in maniera esponenziale nel corso di soli dodici mesi: di fatto, sono cresciute del ben 79,5% rispetto al 2019. Va aggiunto che sono nettamente aumentati anche i messaggi inviati con lo stesso scopo, nello specifico del 71%.
In particolare, i picchi più evidenti sono stati registrati in due particolari momenti. Nell’aprile 2020 sono state contate il +176,9% di chiamate al 1522 rispetto allo stesso mese dell’anno precedente.
Inoltre, più donne avrebbero tratto il coraggio necessario dalla campagna mediatica organizzata proprio in occasione della giornata dedicata alla lotta alla violenza contro le donne. In effetti, Istat indica che nel corso della settimana compresa tra il 23 e il 29 novembre del 2020, la cornetta è stata sollevata con il fine di ottenere un aiuto il 114,1% di volte in più rispetto al 2019.
Se si volesse, poi, dare un volto alle voci in cerca di un sostegno questo sarebbe spesso giovanissimo ed appartenente ad una donna di massimo 24 anni: nel 2020 in Italia ha telefonato il ben 11,8% di loro, contro il 9,8% dell’anno prima.
Tuttavia, andrà precisato che anche le richieste da parte di chi possiede più di 55 anni si sono moltiplicate nel corso dell’anomalo anno che, con non poca fatica, è stato accantonato ma non dimenticato. Inoltre, non va dimenticato che spesso sono persone vicine alle vittime a telefonare per queste: anche in questo caso, si assiste ad uno stacco netto tra le cifre dei due anni in analisi (745 chiamate nel 2019, 1.348 dodici mesi dopo).
Cosa hanno denunciato maggiormente le donne? Quasi la metà delle violenze di cui si racconta è fisica e non di rado queste sono perpetrate da componenti della propria famiglia. Anzi, il 18,5% del totale di atti violenti denunciati nel 2020 affonda radici in legami parentali, quasi il 6% in più rispetto al 2009. Tuttavia, ancora oltre il 50% delle volte, la figura da denunciare corrisponde a quella del proprio partner.
Accoglienza in centri antiviolenza: Nord e Sud a confronto
Molto spesso una chiamata non basta, ed è per questo che esistono i centri antiviolenza, a cui nei soli primi 5 mesi del 2020 hanno ricorso 20.525 le donne, che in realtà corrisponde al solo 1,1% in più rispetto allo scorso anno. Tuttavia, si mentirebbe se si affermasse che questo numero possa essere spalmato in maniera omogenea tra le Regioni. Anche in questo caso, in effetti, si sottolinea un evidente divario tra Nord-Est e Sud Italia. In media, nei centri antiviolenza della prima area trovano accoglienza 108 donne, mentre in quelli collocati in Isole o presenti al Sud soltanto tra le 43 e le 47.
Violenza e sostegno: i dati della Sicilia
Cosa è successo in Sicilia? Nel corso del periodo compreso tra gennaio e maggio 2020, il numero di donne decise ad entrare in uno di questi centri antiviolenza dell’Isola è cresciuto rispetto allo stesso periodo del 2019, ma di sole poche unità. In effetti, all’inizio del 2019 hanno contattato un CVA 404 donne vittime di violenza, un anno dopo 427. Un incremento davvero minimo se si pensa che, analizzando gli stessi mesi, in Sardegna le donne ricorse a questo genere di aiuto sono passate da 349 a 639. Ciò significa che l’Isola ha contribuito poco all’incremento pari a 41,5% presentato più in generale dalle Isole.
In realtà già nel maggio del 2020, l’Assessorato della Famiglia, delle Politiche Sociali e del Lavoro della Regione Siciliana aveva evidenziato come le donne stentassero a chiedere aiuto e, temendo, aveva ricordato per mezzo di un avviso pubblico come la situazione di emergenza da COVID -19 non avesse impedito a tali centri di funzionare. Neanche l’indicazione di modalità e canali sarebbe stata sufficiente.
Il numero di ingressi in case rifugio, invece, in Sicilia resta praticamente identico a quello del precedente anno: i 13 del 2019 sono diventati 14 nel 2020.
Non resta che chiedersi se questi numeri siano lo specchio di una violenza poco ricorrente in Sicilia o più quello di diffuse paura e difficoltà nello scorgere ed usufruire della protezione altrui.
In effetti i dati già riferiti contrastano con altri, legate alle ragioni delle richieste di aiuto. Trattando di casi di violenze dovute a fattori scaturiti dall’emergenza sanitaria, l’Istat colloca la Sicilia tra le Regioni con percentuali sopra la media. Tra queste “motivazioni”, spicca la frustrazione dell’autore della violenza in seguito alla perdita del proprio impiego lavorativo o di quello della vittima.