Diplomi più richiesti, quali sono? Ecco gli indirizzi dove c'è più richiesta di competenze secondo un recente rapporto stilato da Confindustria.
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Chi ha detto che per trovare lavoro serve per forza una laurea? Un recente rapporto di Confindustria dimostra che in Italia non si trovano 318mila posti di lavoro per i quali basterebbe un diploma, meglio se da istituti tecnici professionalizzanti. Vediamo, quindi, quali sono i diplomi più richiesti.
Dall’industria ai servizi, diversi settori produttivi registrano una carenza di impiegati in aree specifiche, in particolare nel reparto tecnico. Si tratta spesso di casi in cui i diplomati sono spesso la maggior parte degli assunti.
Giusto per dare qualche numero degli anni passati, nel 2017 i diplomati assunti nel settore industriale avevano nel 63% dei casi un diploma tecnico, nel 21% di tipo professionale e nel 16% dei casi venivano dal liceo. Proporzioni simili nel settore dei servizi, dove il 57% dei diplomati viene dal liceo tecnico, il 27% dal liceo e il 15% dal professionale.
Nel 2020 la carenza di diplomati registrata dalle imprese era di 318mila unità, una cifra pari al 28% del totale degli ingressi previsti. Ma da cosa è dipeso? Secondo il rapporto di Confindustria, nel 48% dei casi da carenze di competenze, nel 43% da una carenza di offerta.
In numerosi settori la carenza di competenze richieste è compresa tra il 43 e oltre il 50% degli impiegati. I diplomi più richiesti sono nei seguenti settori:
“Il sistema produttivo assume i diplomati di tipo professionalizzante – si legge nel rapporto di Confindustria – . L’elemento che accomuna le imprese manifatturiere e quelle dei servizi è la preferenza rivelata da parte di entrambi i settori per i diplomi di tipo professionalizzante, la somma di diplomi di istruzione tecnica e professionale: 84% il peso nella manifattura a fronte del 16% dei diplomi a contenuto generalista rilasciati dai licei”.
Secondo Confindustria, “molti profili di diplomati a indirizzo professionalizzante sono introvabili non solo per carenza di offerta ma anche a causa del gap di competenze, tra quello atteso dalle imprese e quello posseduto dai candidati al momento dell’assunzione”.
La prospettiva di Confindustria, però, è che gli istituti tecnici potrebbero assumere un ruolo trainante per l’economia locale, diventando motori per l’intero marchio del “made in Italy”.
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