I medici dell'Usca Catania intervengono sulla questione buste paga, che in alcuni casi avrebbero sfiorato i 27mila euro al mese, facendo chiarezza su posizione contrattuale e compensi.
Fino a 27mila euro al mese ai medici che hanno lavorato per l’emergenza Covid è una cifra vertiginosa, che in questi giorni ha generato numerose polemiche sull’operato dell’Asp Catania. Ma, diversamente da quanto ripetuto da più parti, nelle Usca non si arriva a guadagnare tanto. Per una questione di paga oraria e di monte ore settimanali, che, anche contando gli straordinari, non arriva a quelle cifre, come dichiarano gli stessi impiegati del capoluogo etneo.
I medici Nicolò M., Marco N. e Salvo C. lavorano al distretto dell’Usca Catania (Catania, Misterbianco e Motta Sant’Anastasia) e hanno chiarito a LiveUnict la situazione contrattuale nelle Usca. Salvo e Nicolò hanno preso servizio tra ottobre e novembre, nel pieno della seconda ondata, mentre Marco c’era dall’inizio, dalla nascita delle Unità Speciali di Continuità Assistenziale. “Sono stato uno dei primi a lavorare nell’Usca, da aprile 2020. All’inizio siamo stati assunti in 15. Da allora, non ci sono state variazioni al contratto né a livello di gerarchia né di compenso“, spiega.
La paga non è cambiata, quindi, e si applica sia ai medici assunti con contratto nazionale nelle Usca sia a quelli che esercitano la libera professione, impiegati con bandi regionali: 60 euro lordi l’ora per gli specializzati, 40 per specializzandi e abilitati non specializzati. Cifre elevate e commisurate al rischio corso dai sanitari, specie prima che arrivasse il vaccino, ma che erano ben note a tutti. Si trovano facilmente nei bandi d’assunzione, pubblicati anche online (è il caso, per esempio, di uno degli ultimi bandi per liberi professionisti pubblicati dalla Regione Siciliana, scaduto il 31 gennaio).
“Ad alcuni colleghi non è piaciuto l’uso errato della parola Usca – continua Marco, riferendosi alle polemiche di questi giorni –. È triste che alcune testate o alcuni personaggi politici del nostro territorio puntino il dito contro di noi. Non so se c’è stato qualcuno che ha fatto il furbetto. Sia le Usca sia i colleghi delle altre unità sono scese in prima linea per combattere il Coronavirus e si impegnano ogni giorno. Stimiamo e condividiamo il lavoro di tutti coloro che sono impegnati nella pandemia, ma se c’è stato qualche furbetto spero che venga preso e paghi le conseguenze. Da quello che ho letto, però, così facendo si manda alla gogna tutta la categoria, si fa di tutta l’erba un fascio”.
La differenza tra le Usca e le altre unità, raccontano i medici, è a livello di monte ore settimanali e di incarichi. Le Usca, infatti, si occupano di seguire e monitorare i pazienti positivi, dai contatti con i medici di famiglia alla programmazione ed esecuzione dei tamponi. Tutto il resto, dagli screening in aeroporto ai drive-in e alle altre attività, come quelle dell’hub vaccinale di Catania, viene fatto dai medici assunti con altri bandi. Inoltre, il contratto prevede turni di 6 o di 12 ore giornaliere con un tetto massimo di 24 ore a settimana. Non le 36 ore di cui si è parlato in riferimento agli “stipendi d’oro“, che riguardano, appunto, altri bandi.
“Il nostro contratto si basa su un orario che è 8-14, 14-20 o 8-20 al limite – spiega Nicolò -. Quindi turni da 6 o 12 ore. Questo accade per le Usca, mentre altre unità di continuità assistenziale come la guardia medica fanno turni da 12 ore. Con la differenza che nei feriali la guardia medica fa orario 20-8 e nei festivi e prefestivi fa sia 8-20 che 20-8. Le Usca, invece, fanno 8-20 tutti i giorni della settimana con un collega a turno che fa il notturno come coordinamento di tutto il distretto, per garantire un servizio che sia presente h24.
Quando siamo entrati – continua –, sia io che gli altri colleghi ci aspettavamo di fare 12 o 24 ore settimanali, come da contratto, ma quando sei all’interno ti accorgi che quel numero di ore non bastava per il personale presente. Quindi abbiamo fatto degli extraorari per seguire tutti i pazienti fino a dicembre. Che non significano 18 ore al giorno, come qualcuno dice, ma qualche ora extra a seconda delle situazione emergenziale. In questo mese, quando il carico di lavoro si è ridotto, abbiamo fatto le nostre ore contrattuali normali. Io per esempio faccio 48 ore mensili”.
Quest’autunno, tuttavia, la situazione non è stata altrettanto tranquilla e i medici impegnati nel gestire la seconda ondata sul territorio sono stati quelli col maggior carico di lavoro sulle spalle. “Da quando ho preso servizio, a novembre – racconta Salvo – fino a gennaio, ho rivisto la mia famiglia una sola volta: il 4 gennaio. Lo stipendio è dato da un carico di monte ore necessario, non voluto, ma in quei mesi c’erano situazioni davvero gravi, date da un aumento della casistica non susseguito da un aumento di personale. Stiamo parlando di 5-6mila positivi da gestire con poche persone e se ce l’abbiamo fatta è stato solo grazie al lavoro extra e all’aiuto da altre Usca”.
Dopo la zona rossa di gennaio la Sicilia ha vissuto un graduale ma costante miglioramento della situazione epidemiologica. Gli ultimi dati certificano contagi stabili o in diminuzione, laddove nel complesso i casi in Italia superano i 20mila contagi giornalieri. Una situazione che si è raggiunta anche grazie al lavoro di prevenzione e monitoraggio del territorio, con l’assunzione di maggiore personale nelle Usca.
“Il carico di lavoro si è ridotto, anche se non notevolmente – spiega Nicolò -. Con i nuovi arrivi, però, si è puntato di più sulla quantità che sulla continuità. Così, capita che un paziente venga seguito da più di un medico e che quindi non sia possibile seguire individualmente tutto il suo percorso da quanto si positivizza a quando non è più positivo. Anche se non si tratta necessariamente di un deficit, alcuni pazienti si trovano un po’ spaesati di fronte a questa situazione. Dall’altro lato, i casi stanno leggermente diminuendo ma bisogna considerare il grosso interrogativo delle varianti”.
“Ci auguriamo di tenere sotto controllo l’ondata – conclude Marco –, anche se i turni spezzati non permettono di avere una visione di continuità nella storia del decorso clinico del paziente e del lavoro di gestione presso la propria sede”.
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