All’Italia spetta la quota più ampia del Next Generation EU, 196 miliardi tra prestiti e contributi a fondo perduto. A questi si sommano altri finanziamenti: 13 miliardi dal React-EU, 7 miliardi di fondi strutturali e 80 miliardi presi dalle risorse programmate per il 2021-2026. Di fronte a una cifra simile, intorno ai 300 miliardi, agli inizi qualcuno ha tirato in ballo una semi-citazione dei Simpson: “L’Italia con così tanto denaro è un po’ come un mulo con un forno a microonde: nessuno sa dove l’abbia preso e gli venisse un colpo se saprà mai come usarlo!”.
Ironie a parte, anche stavolta sembra che Matt Groening abbia previsto tutto. Buona parte del discorso politico di questi mesi, e della crisi di governo parzialmente rientrata, gira attorno a come spendere questi soldi. Si discute di temi, percentuali e progetti prioritari, ma nella maggior parte dei casi si omette un punto centrale: almeno parte di questi fondi dovranno essere restituiti. Un problema che tocca soprattutto i giovani, e che sarebbe già difficile risolvere se l’Italia avesse i livelli di occupazione della Germania. Invece, abbiamo tra le percentuali di disoccupazione giovanile più alte in Europa (29,7%) e il numero maggiore di Neet, i giovani che non studiano e non lavorano. La vera beffa, però, è che nelle più recenti bozze del Next Generation Italia si spendano per giovani e politiche attive per il lavoro solo l’1,1% dei fondi europei: 2,35 miliardi.
Su questo tema si è attivata già dagli inizi di dicembre la campagna #UnoNonBasta, che chiede di investire il 10% dei fondi del Next Generation Italia, pari a circa 20 miliardi, per accelerare l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro, formare chi non studia e non lavora e preparare le nuove generazioni ai mestieri del domani. La campagna, lanciata dalle associazioni Visionary e Officine Italia, ha raccolto oltre 96mila firme su Change.org ed è seguita da quasi 30mila follower su Instagram. Ne ha parlato con LiveUnict uno degli attivisti della campagna Uno Non Basta, Angelo Tarditi.
“Chi ci segue ha tante storie da raccontare – comincia Angelo -, dai ragazzi che finiscono la scuola superiore e non sanno dove indirizzarsi a livello universitario, perché non sono efficaci gli strumenti per orientarli, agli adulti di 25-30 anni che non studiano e non lavorano”. Scorrendo lo spazio dedicato a queste “storie da 1%” ci si imbatte in esperienze che rappresentano la dura realtà di centinaia di giovani: “Promettendo il contratto: paga a ritenuta, poi a nero, poi gestione separata… poi a casa”; “Ho due lauree e due master, vivo e lavoro all’estero perché in Italia lo stipendio più alto è stato di 350 euro”; “Vengo pagata più come commessa e come ricercatrice”. C’è, poi, chi cita i propri ex datori di lavoro: “Lavorerai full time ma con contratto part-time, altrimenti ti dovremmo pagare di più”; “Non assumo una gravidanza”; “È da intendere che la retribuzione è in termini di apprendimento”.
Next Generation Italia: “prossima generazione” a chi?
Di esperienze simili ci si può anche non stupire, ma è difficile non indignarsi per il trattamento riservato alle politiche per il lavoro giovanile nelle ultime bozze del PNRR, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza col quale l’Italia suddivide le quote del piano Next Generation EU.
“La particolarità del nostro piano, a differenza di quello delle altre nazioni, è il trattare il tema giovani in maniera del tutto trasversale – spiega Angelo Tarditi -. Abbiamo iniziato la campagna con la bozza del 7 dicembre e da lì siamo andati avanti fino ad oggi. Nell’ultima bozza, approvata dal Cdm qualche giorno fa, quello che ci ha sconvolto è stata l’assenza di una sezione dedicata a giovani e politiche del lavoro in maniera esclusiva. Il tema giovani viene trattato in modo del tutto trasversale in un piano che paradossalmente si chiama Next Generation e che dovrebbe puntare tutto su di noi, sulla nostra generazione”.
A differenza di altri Paesi, come la Spagna, la Francia o il Portogallo, l’Italia non ha riservato un capitolo specifico ai giovani. “Non ci spieghiamo come l’Italia – continua Angelo -, pur ricevendo il numero più alto di fondi, decida di stanziare solo l’1,1% a giovani e politiche del lavoro in voci che ci siamo dovuti cercare noi. Nell’ultima bozza approvata dal Cdm è stata eliminata la voce ‘giovani e politiche del lavoro’, dato che viene trattata in maniera trasversale”.
20 miliardi ai giovani nel Next Generation: le proposte di Uno Non Basta
Sono tre, in sintesi, le proposte di Uno Non Basta: la costruzione di una Garanzia Giovani 2.0 per percorsi di alta formazione e placement universitario; la formazione di 300mila giovani ai nuovi mestieri, sulla base del rapporto Excelsior 2020 di Unioncamere, e il reinserimento professionale di 350mila Neet. Vengono tutte spiegate nel dettaglio all’interno del position paper pubblicato sui canali della campagna, dove sono anche quantificate a livello di spesa economica.
“Siamo contro a tutta la parte degli sgravi fiscali e i centri dell’impiego usati finora, che fino a questo momento non sono stati utili alla causa dei giovani – spiega l’attivista di Uno Non Basta -. Puntiamo molto, invece, su Garanzia Giovani 2.0 per aiutare tramite tirocini e corsi di preparazione professionale tutte quelle persone che non hanno la formazione per i lavori di oggi, ma anche sui placement office universitari. Per farlo, bisogna rafforzare soprattutto le strutture territoriali, con la creazione di figure realmente preparate a formare i giovani in qualità di tutor”.
La campagna, spiega Tarditi con un esempio, guarda anche alle suggestioni provenienti dall’estero: “Nel piano francese è prevista una piattaforma digitale, dove c’è la possibilità di fare dei corsi professionalizzanti. Lo stato mette a disposizione di ciascuno un budget di bonus che può essere speso nella piattaforma per formarsi ai lavori del futuro“.
Proteste e risposte dalla politica
Qualche giorno fa, il 18 gennaio, i ragazzi di Uno Non Basta hanno proiettato su Palazzo Chigi un semplice ma eloquente messaggio: “Chi non investe nei suoi giovani non ha futuro”. Da lì in poi, sembra sia aumentata l’attenzione per la campagna e sono arrivate anche le prime risposte dalla politica.
“Abbiamo programmato un incontro dove trattare le nostre proposte tra noi e il ministro per gli Affari Europei, Vincenzo Amendola“, racconta Angelo. A questo, si aggiungono gli incontri con vari deputati e senatori sia di maggioranza che di opposizione, simpatizzanti della campagna e pronti a discutere le proposte di Uno Non Basta.
“Il nostro obiettivo – conclude – è di essere convocati come parte sociale nelle discussioni sul Recovery Fund. Chiediamo un incontro col Presidente del Consiglio, per portare le nostre proposte e le firme raccolte finora”.